Contemporanea 20, nei luoghi imprevedibili della nuova scena
Palcoscenico La rassegna pratese si è conclusa domenica sull’immagine danzante di Alessandro Sciarroni
Palcoscenico La rassegna pratese si è conclusa domenica sull’immagine danzante di Alessandro Sciarroni
L’immagine di Alessandro Sciarroni che danza girando su se stesso per quasi tre quarti d’ora, cambiando continuamente, e impercettibilmente, la postura della sua fisicità, rimane come ricordo bello e significativo di tutta la ventesima edizione della rassegna Contemporanea,conclusasi domenica. Quel suo Chroma – Don’t be Frightened of Turning the Page, è il momento di assolo e di conclusione della sua concezione del movimento (sviluppata qualche anno fa con composizioni ed ensemble differenti), a conferma e suggello di un linguaggio spettacolare che, proprio perché assoluto, può divenire chiave di lettura dell’universo mondo. E che ha quasi ipnotizzato e rapito il pubblico nello spazio immenso e suggestivo del Fabbricone, dando una conclusione che già vola nel domani per la rassegna pratese.
Contemporanea, appuntamento autunnale ormai fisso per la nuova scena italiana e non solo, diretto da Edoardo Donatini per il teatro Metastasio, anche quest’anno ha mostrato percorsi, sicurezze (e anche «necessità» da approfondire) al panorama che, tra teatro e danza, cerca nuovi spettatori per nuovi protagonisti. Anche quando indica carenze o necessari punti di snodo. Un esempio per tutti la performance targata Kinkaleri che vede il solo di Michele Scappa dal titolo HellO: un performer di bravura mostruosa, cui avrebbe certo giovato una maggiore attrezzatura drammaturgica, per non limitare la sua esibizione ad un solo di eccellente tecnica fisica. All’opposto, la presenza più attesa al festival pratese, l’uruguayano Sergio Blanco, è squisitamente drammaturgo: i tanti piani che è capace di intrecciare sulla scena furono una stupefacente rivelazione alle Vie modenesi di un paio d’anni fa. Il suo Bramito de Dusseldorf mescolava e continuamente ribaltava situazioni diversissime quanto paradossali nella loro apparente quotidianità, in una storia fatta di colpi di scena tali da commuovere e divertire, e soprattutto sorprendere, lo spettatore.
A PRATO invece, seduto a un tavolo a centro scena, sotto le immagini metropolitane o naturalistiche fotografate nel loro paese da Matilde Campodonico, inanella una serie di riflessioni, aneddoti e citazioni letterarie (tante, quasi troppe…) sul tema della morte: Memento mori o la celebraciòon de la muerte è non a caso il suo titolo, che si svela presto artificio retorico di racconto d’occasione, un apologo a rischio di scontata meccanicità… Ben più puntuale e attinente alla situazione la conversazione condotta, da Massimiliano Civica (regista nonché consulente artistico del teatro pratese) che sotto il titolo L’angelo e la mosca scopre paradossali accostamenti tra i precetti e gli apologhi delle tradizioni mistiche d’Oriente (senza discriminazioni: chassidiche, islamiche, sufi, e perfino i vangeli apocrifi), con i fondamenti e i protagonisti del teatro del ‘900. Paradossi che intrecciano i padri fondatori di culture e discipline lontane facendo magari sorridere, ma che contengono una loro acida verità.
UNA VENA quasi mistica conteneva anche la danza che Roberto Chenevier ha innalzato con Purgatorio, ovvero aspettando il Paradiso, quasi una preghiera (nudo sotto un manto di piume d’uccello) nello spazio insolito e verdissimo del giardino dietro il Fabbricone, preghiera acquatica insieme punitiva e liberatoria. E liberatorio era anche lo spettacolo, questo tutto teatrale, che una compagnia di giovani già ben rodati, i Vico Quarto Mazzini, ha costruito nell’affascinante spazio dell’ex cinema Excelsior, Livore. A fianco ai soci fondatori, Michele Altamura e Gabriele Paolocà (che firmano la regia) c’è la new entry di Francesco D’Amore, autore anche del testo. Un testo che apparecchia uno scenario pinteriano nella preparazione di una cena che dovrebbe facilitare rapporti e scritture attoriali per prossime fiction televisive. Ma la preparazione, continuamente interrotta, di buffet e bevande da parte della coppia di giovanotti (legati anche sentimentalmente), viene gradualmente «scalata» dall’intruso rompiscatole, abile ad inserirsi nelle pretese e nelle fissazioni degli altri. Così che gradualmente, senza spargimenti di sangue o di particolari accortezze, si insedia lui come leader di coppia e della serata. Scorrevole e leggera all’apparenza, la commedia diventa un discreto saggio su debolezze e veleni che governano il mondo. O almeno quello dello spettacolo. E tra uno spettacolo e l’altro, il Metastasio ha anche presentato una nuova rivista di teatro, La falena, lussuosa nella confezione e con diversi critici tra gli autori. Un modo anche questo efficace e generoso per far ritrovare al teatro una sua più identificata «contemporaneità».
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