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Conte tra Mazzini e Wagenknecht: «Rivendico il concetto di patria»

Conte tra Mazzini e Wagenknecht: «Rivendico il concetto di patria»Giuseppe Conte – Ansa

5 Stelle Alla scuola di formazione il futuro candidato Pasquale Tridico modera tra Steano Fassina, Marco Tarchi e Donatella Di Cesare. Alla fine il leader tira le somme

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 10 febbraio 2024

Che ne è della nazione e della patria? Se lo domanda il Movimento 5 Stelle, che dopo aver abbandonato la spoliticizzazione della piattaforma Rousseau e il predominio della comunicazione spettacolare di Grillo prova a costruire un lessico politico. E allora Giuseppe Conte chiama a raccolta i suoi al Tempio di Adriano, il luogo in cui prima delle elezioni politiche del 2018 Luigi Di Maio lo designò ministro della funzione pubblica del governo a 5 Stelle (com’è noto gli andò molto meglio) e apre il dibattito convocando tre «esperti».

Pasquale Tridico, futuro capolista al sud per le Europee, qui è nella funzione di coordinatore del comitato di formazione e aggiornamento del M5S. Ai suoi lati ci sono l’ex responsabile economico del Pd bersaniano e deputato Stefano Fassina, lo scienziato politico Marco Tarchi e la filosofa Donatella Di Cesare. Dalle loro relazioni, il M5S prova a ricavare un’idea di «patria» che sia compatibile col nuovo corso non di sinistra ma «progressista». Un campo minato, se si considera che solo pochi giorni fa il leader ha avuto difficolta a districarsi tra Trump e Biden.

Apre le danze Fassina, che da qualche tempo rielabora i concetti di patria e nazione. «A sinistra considerano questi concetti repressivi – dice – Ma senza la definizione risorgimentale e costituzionale di patria non siamo in grado di orientare le sfide di questa fase storica». Poi cita Giuseppe Mazzini («Dove non è patria non è patto comune»), Benedetto Croce («L’amore per la patria fu pervertito dal nazionalismo») e Palmiro Togliatti («I nemici dei lavoratori tentano di contestare i lavoratori invocando il loro internazionalismo come disprezzo per la patria, ma non è così»). A ulteriore conferma di questo itinerario, evoca la dimensione metafisica dell’articolo 52: «La difesa della patria sacro dovere del cittadino». Allora, come mai a sinistra ci sono tante diffidenze? «C’è una linea interpretativa che dal ’68 e dagli anni Settanta considera i confini e la nazione come limitazione delle libertà – risponde Fassina – E nel 1989 unico scenario europeismo viene interpretato come alternativo a sentimento patriottico». La conclusione è questa: «Il popolo ha irrinunciabili radici nazionali legati alla propria storia, alla propria cultura, alla propria identità». Come a dire: dove non c’è nazione, non c’è politica.

La parola passa a Marco Tarchi, che fu dirigente del Msi e che fu teorico della nuova destra. Ma, dice, da quarant’anni ha preso le distanze da quella storia. «Sinistra e destra non servono più – spiega Tarchi suonando corde affini a quelle dei 5 Stelle – Non colgono le linee di conflitto e di convergenza». Sostiene che non si dà politica senza patria, senza nazione e senza identità. In questo incrocia Fassina, secondo il quale unico argine politico a dittatura dell’economia è la nazione. Donatella Di Cesare riparte dai fondamentali: la nazione è «connessa alla nascita», la patria «indica la terra dei padri ma significa anche stirpe e casta». La politica, afferma Di Cesare, è esattamente il contrario: nasce proprio quando con la città e con la democrazia, è un potere nuovo che si pone in contrapposizione alla stirpe, alla casta e alla sfera familiare e che si apre allo spazio pubblico. «Per questo per me la patria è un concetto pre-politico reazionario, in contrapposizione alla democrazia». Per Di Cesare la discriminante è l’accoglienza dei migranti e il rapporto con la globalizzazione: «Pensare che ancora oggi la nazione sia protagonista dell’economia-mondo ci fa pensare a uno Stato provvidenza in cui siamo tutti nella stessa barca – dice – Il che neutralizza il conflitto che sta alla base della democrazia e della politica».

Conte, dopo aver preso appunti, conclude il dibattito. Dice che «nella sinistra marxista è prevalsa l’idea che la classe operaia fosse estranea all’idea di patria». Strizza l’occhio ai sovranisti quando afferma che «il cosmopolitismo è delle élite, non delle classi popolari» ma poi chiama in causa anche lui Mazzini per rivendicare un «patriottismo legato ai principi universalistici della libertà e della democrazia». «Quando ho chiesto la fiducia alle Camere ho usato la parola patria – prosegue – Ma è una nozione che non ha valenza ideologica né naturalistica». Tira fuori persino il «Patria o muerte» di Che Guevara (il grande equivoco qui è che Cuba era un paese colonizzato, l’Italia è un paese coloniale) e lancia un segnale al Pd: «Patria, nella nostra Costituzione, è il sacro dovere di difenderla ma anche di ripudiare la guerra». Non siamo ancora al livello di Sahra Wagenknecht, la politica tedesca uscita dalla Linke su posizioni rossobrune e anti-migranti ma è chiaro che Conte vuole sfidare la destra anche suo suo terreno.

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