Conte riempie la replica di gaffe
Alla camera Il presidente del Consiglio "non ricorda" il "congiunto" del presidente della Repubblica ucciso dalla mafia. Assicura di avere "piena consapevolezza" dei principi costituzionali, ma poi si sbaglia sul "principio di colpevolezza". Il governo ottiene la fiducia con 350 sì
Alla camera Il presidente del Consiglio "non ricorda" il "congiunto" del presidente della Repubblica ucciso dalla mafia. Assicura di avere "piena consapevolezza" dei principi costituzionali, ma poi si sbaglia sul "principio di colpevolezza". Il governo ottiene la fiducia con 350 sì
L’avvocato nella tempesta. Non è facile parlare in replica alla camera dei deputati, quando dovendo rispondere agli interventi dei gruppi non si può leggere un testo scritto in precedenza, da sé o da altri, ma solo qualche appunto. Diventa difficilissimo se sull’intervento grava il peso dell’emozione da debutto e per di più non si trovano gli appunti. La performance di Giuseppe Conte ieri pomeriggio alla camera dei deputati è stata assai modesta, ma va valutata tenendo presente gli handicap, come nell’ippica.
«Qui camera, bella squadra. Si parte!» twitta Salvini postando una sua foto fianco a fianco con il presidente del Consiglio al centro dei banchi del governo. Poi parte davvero, per andare a fare un comizio a Brindisi, e lascia scoperto il fianco del suo premier. Il ministro degli esteri Moavero ci mette un po’ a capire che deve spostarsi a coprire il vuoto.
Conte non dimentica di citare il presidente Mattarella, lo sente come un dovere tanto più il pasticcio di Di Maio con l’impeachment. Ha in mente un riferimento per tenere insieme l’omaggio al presidente e un richiamo alla lotta antimafia; buone intenzioni chi si rovesciano in una brutta figura. Perché il premier parlando di Mattarella dice così: «Una delle cose che più mi ha addolorato nei giorni scorsi è stato quando c’è stato un attacco alla memoria di un suo congiunto sui social, adesso non ricordo esattamente». Il richiamo è a quei post nei quali sostenitori del governo giallo verde auguravano al capo dello stato di fare la fine del fratello, ucciso da Cosa nostra nel 1980. Forse il «non ricordo» di Conte era inteso al genere di minaccia circolata sul web, e non al «congiunto». Ma la frittata è fatta e il capogruppo del Pd Delrio può gridargli contro con efficacia: «Signor presidente del Consiglio, si chiamava Piersanti». E arrivano gli applausi degli altri gruppi di opposizione, Forza Italia compresa.
A differenza del senato, alla camera c’è soluzione di continuità tra le postazioni della maggioranza. I 5 Stelle egemonizzano la parte sinistra dell’emiciclo, schiacciando il Pd all’estrema. Il centro e il centro-destra sono riservati al gruppo misto e a Forza Italia, che stanno all’opposizione. La destra è della Lega. Il risultato è che gli applausi a Conte arrivano da tutti i lati dell’aula. Applausi di incoraggiamento, ad affermazioni in verità un po’ banali tipo «vogliamo l’innovazione tecnologica». Dopo mezz’ora di intervento, le metà della replica, per sostenere un po’ la performance non sfavillante del suo premier la maggioranza si alza addirittura in piedi e applaude a lungo il seguente passaggio: «Oltre al contratto di governo abbiamo piena consapevolezza dei principi costituzionali».
Mancherebbe altro. Le opposizioni glielo rinfacceranno spesso, in particolare Delrio: «Lei non è qui per concederci il privilegio di vederla osservare la Costituzione; lei ha il dovere di osservare la Costituzione». Conte certo non voleva dire quello, così come non immagina la possibilità di cancellare gli statuti regionali speciali quando annuncia che «intendiamo conservare le regioni ad autonomia speciale», ma probabilmente solo conquistarsi l’astensione degli autonomisti. Però inciampa in continuazione in simili affermazioni disarmanti. Così come quando dice: «Mi è stato contestato di non aver pronunciato le parole pace e cooperazione. Bene, le pronuncio adesso». E si ferma. Monta la contestazione e lui replica: «Ma non mi sembra che nel contratto ci siano propositi bellicisti!».
Il contratto. Anche alla camera il rimando è continuo, tanto che le opposizioni si innervosiscono. Non cogliendo, invece, un atteggiamento di disponibilità del presidente del Consiglio. Che fa i complimenti a Minniti, sentendosi libero di poterli fare perché «li ha già ricevuti da parte di esponenti di questa maggioranza (Salvini, ndr)». E dice persino troppo, almeno per Di Maio che gli siede accanto: «Noi non arriviamo per stravolgere le cose, per capovolgere. Per esempio in materia di scuola…».
Sul conflitto di interessi provoca una mezza rivolta del Pd, che ovviamente non aspettava altro, quando sembra accusare i deputati dem di avere dei conflitti di interesse. Quando finalmente riprende la parola dice, innocente: «Sono stato frainteso, volevo solo dire che i conflitti di interesse sono a tutti i livelli». Sulla giustizia, giura che garantisti e giustizialisti sono uguali e poi, parlando «da giurista», che «rispetterà il principio costituzionale della colpevolezza». Altro lapsus, ovviamente è non colpevolezza. Si fa sfuggire un attacco a Cantone – «non abbiamo dall’Anac quei risultati che ci attendevamo» – che risponde immediatamente, ma certamente Conte non intendeva neanche dir questo. Promette però «nuove politiche economiche per la crescita e la discesa del debito». Quali? «Bisogna vedere come arrivarci» e «non chiedeteci troppo, abbiamo appena giurato».
Hanno adesso anche la fiducia della camera, con tutti i voti previsti: 350 sì, 256 no e 35 astenuti. Il problema del governo non sarà quello dei numeri in parlamento
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