Giuseppe Conte si gode «l’onore politico che gli elettori ci hanno restituito». Parla per oltre mezz’ora davanti ai circa 80 nuovi parlamentari riuniti a Montecitorio: molti meno dell’altra volta, molti di più di quelli che sperava di ottenere. «Ci davano per scomparsi. E invece sono tanti i cittadini che hanno superato il cerchio di fuoco eretto dal “sistema” contro di noi, a loro siamo grati».

Non nasconde «l’emozione» per il suo debutto da deputato, sorride, e del resto in queste settimane nel M5S non ci sono i problemi di sempre: la leadership è salda, la linea è piuttosto chiara, e cioè occupare lo spazio a sinistra, rubandone altro al Pd, su temi come pace e lavoro, fino a prendere la guida dell’Italia anti-Meloni. E dunque «opposizione dura e senza sconti», ché «l’intransigenza è nel nostro dna», ma senza un «ostruzionismo pregiudiziale», senza «distribuire patenti di legittimità democratica».

Il «mandato chiaro» ricevuto dai cittadini riguarda in primo luogo la difesa della «buone misure che abbiamo introdotto al governo»: e dunque reddito di cittadinanza, superbonus (che «va stabilizzato e non depotenziato») e legge anti-corruzione». Disponibili a correttivi sul versante delle politiche attive del lavoro, ma «nessuno pensi di smantellare un necessario sistema di protezione sociale».

A Meloni lancia una sfida: «La invitiamo a rivedere il suo proponimento di non fare scostamenti di bilancio. E ancora: «Finora l’Italia non è riuscita a spingere i partner europei più riottosi a misure comuni sull’energia. Per raggiungere questi obiettivi non servono un nazionalismo isolazionista, o derive alla Orban. Il governo segua la rotta che abbiamo tracciato durante la pandemia».

Una stoccata anche agli industriali: «Ora tutti si svegliano e immaginano manovre da decine di miliardi, anche Confindustria parla di 50 miliardi. Meglio tardi che mai. A Confindustria vorrei ire il debito non è buono quando si sostengono le imprese e cattivo quando si aiutano le famiglie». E dunque nel programma per i prossimi mesi Conte inserisce l’obiettivo di «garantire che i privilegi di pochi vengano cancellati quando non possono diventare diritti per tutti», e di «evitare che ci siano cittadini che contano e cittadini confinati nel girone dei dannati, costretti a lavorare con buste paga da fame».

L’altro obiettivo è intestarsi politicamente il movimento pacifista. «Non vogliamo mettere nessun cappello politico, andremo senza bandiere», assicura il capo M5S. Per poi attaccare il «diffuso interventismo bellicista» che «prova a rintuzzare qualsiasi discussione». «Usano in modo vergognoso l’accusa di filo-putinismo come una clava per soffocare qualsiasi democratico confronto. Da noi mai ambiguità, sempre una ferma condanna della Russia».

Conte ricorda il «muro governativo insormontabile» che si alzò quando M5S voleva discutere in Parlamento delle armi all’Ucraina. E rivendica parlando con El Pais la caduta di Draghi: «Il governo di larghe intese ha esiliato la politica sullo sfondo. Se non restituiamo alla politica il suo primato saremo sopraffatti dalle crisi in corso».

Non una parola sugli ex alleati del Pd. In questo esordio di legislatura Conte vuole ballare da solo. Competition is competition. La sua vice Alessandra Todde è netta: «Non ci sono oggi le condizioni per dialogare con l’attuale dirigenza dem. Dai banchi dell’opposizione non dobbiamo stringere nessuna alleanza». Ci sarebbero le regionali tra pochi mesi. Ma a Conte per ora non importa.

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