Conte in aula: lo scontro sui Dpcm è nella maggioranza
Il governo dell'emergenza Il presidente del Consiglio prima chiude: nella fase 2 continuerà il ricorso agli atti sottratti al controllo delle camere. Poi su pressione del Pd apre a «una maggiore interlocuzione con il parlamento». La prossima settimana il voto su una delicata mozione
Il governo dell'emergenza Il presidente del Consiglio prima chiude: nella fase 2 continuerà il ricorso agli atti sottratti al controllo delle camere. Poi su pressione del Pd apre a «una maggiore interlocuzione con il parlamento». La prossima settimana il voto su una delicata mozione
Non è finita la fase dei Dpcm. Perché sono lo strumento più adatto, elastico e tempestivo, per fronteggiare l’evoluzione della pandemia. E sono pienamente legittimi, perché «coperti» dalla dichiarazione di stato di emergenza e dai decreti legge che sono fonti di rango primario. Per cui ce ne saranno altri. Questo ha detto Giuseppe Conte ieri mattina alla camera. E non è piaciuto a molti. Non solo alle opposizioni, specialmente la Lega assai innervosita dall’inutile occupazione notturna dei Palazzi (alla camera schiamazzi continui sul mancato rispetto delle distanze e sull’intervento senza mascherina di Conte, al senato una mezza aggressione a Mirabelli del Pd). La difesa senza ripensamenti dello strumento che taglia fuori il parlamento non è piaciuta neanche a Italia viva, prevedibilmente, e nemmeno al Pd. «In pratica ha detto che nei rapporti tra governo e parlamento non si apre nessuna fase 2», ha commentato immediatamente il deputato dem Ceccanti, autore della proposta di rendere obbligatorio un parere delle camere sui Dpcm. Il messaggio è stato recapitato a Conte. Prima con l’intervento del vice segretario del partito Orlando: «I Dpcm erano un male necessario per l’emergenza, ora mi auguro che questo male venga utilizzato il meno possibile». Poi con un più riservato avviso del capogruppo Delrio al presidente del Consiglio: così non va bene. Conte ha promesso di essere più chiaro al senato.
E così l’informativa a palazzo Madama, in tutto identica a quella della camera, si è arricchita di un solo passaggio. «Il governo rimane sempre disponibile a raccogliere indicazioni e contributi del parlamento», ha ripetuto Conte. Ma poi ha aggiunto «e se del caso anche a valutare, in questa nuova fase di allentamento delle misure, come interloquire più efficacemente con il parlamento». A cosa pensi il presidente del Consiglio non è chiaro, probabilmente nemmeno ancora al governo. Certo non accoglierà la richiesta che ha fatto il renziano Rosato di «convocare le camere anche di domenica sera e illustrare i Dpcm al parlamento prima che in conferenza stampa, raccogliendone i suggerimenti». Ma il governo considera troppo anche la proposta Ceccanti di far votare «entro una settimana» alla camera e al senato un parere non vincolante. Ufficialmente perché il Dpcm deve essere uno strumento rapido che non può attendere nemmeno un giorno – anche se quello sulla fase 2, da ultimo, è stato lungamente preparato. Ufficiosamente perché il governo vede malissimo qualsiasi soluzione porti ad aumentare i voti in parlamento. Specie al senato, dove la soluzione di un accordo per limitare le presenze e rispettare le distanze è già fallita. E ogni voto, anche quello di ieri sullo scostamento di bilancio, è un mezzo azzardo per la maggioranza.
La soluzione che circola come possibile «parlamentarizzazione» dei Dpcm è quella, in verità assai spericolata, di inserirli all’interno di un decreto legge nella fase della conversione. In modo da renderli modificabili dal parlamento (almeno in teoria, visto che nella pratica si procede con i voti di fiducia). Il Dpcm sulla fase 2, allora, potrebbe rientrare nel decreto Covid (quello del 19 marzo), il cui esame nell’aula della camera non a caso è stato rimandato alla prossima settimana per consentire una riflessione. Il paradosso è però che quel decreto legge è stato fatto per dare una cornice di legittimità – la «fonte di rango primario» di cui parla Conte – ai Dpcm della fase 1. Il fatto che le camere lo stiano esaminando nel pieno delle manovre, e degli scontri, sulla fase due dà (assai meglio di qualsiasi occupazione notturna) il senso di come il parlamento stia in realtà inseguendo e non orientando il governo dell’emergenza.
Ma, ha detto Conte in aula e ha sottoscritto il presidente della camera Fico in una successiva intervista radiofonica, «il parlamento ha gli atti di sindacato ispettivo, le interpellanze e le mozioni» per controllare il governo. E infatti la prossima settimana arriverà al voto della camera una mozione sottoscritta dai capigruppo di opposizione in cui si chiede proprio di smetterla con i Dpcm e passare ai decreti legge. Una potenziale zeppa nella maggioranza, perché Iv può riconoscersi ed essere tentata di votarla. Sono in fondo le stesse cose che chiede il Pd, che però naturalmente non la voterebbe mai. E allora sta preparando una sua mozione, difficile, per dire che fin qui è andata bene. Ma da adesso in poi si deve cambiare.
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