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Conte e il senso perduto della misura

Conte e il senso perduto della misuraGiuseppe Conte – LaPresse

Dei presidenti di consiglio avuti dopo Berlusconi (grande protagonista del marasma etico e politico del paese), Renzi e Conte colpiscono per la loro sfuggevolezza a ogni tentativo di inquadrarli come […]

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 6 luglio 2019

Dei presidenti di consiglio avuti dopo Berlusconi (grande protagonista del marasma etico e politico del paese), Renzi e Conte colpiscono per la loro sfuggevolezza a ogni tentativo di inquadrarli come persone. Sono impalpabili, si presentano come caratteri del teatro tragicomico in cui si è ridotta la vita politica italiana (e occidentale). Eludendo il contatto reale, è come se non esistessero veramente.

Ovviamente esistono, hanno una loro vita personale, che sarà pure appagante, ma il personaggio da loro recitato risucchia, ai nostri occhi, la loro persona.

Non si capisce bene che cosa rappresentano e che cosa pensano del mondo in cui viviamo.
Oscillando di qua e di là, Conte cerca di convincersi che sia davvero il presidente del consiglio italiano. In realtà un presidente del consiglio non c’è, se ne può, sembra, fare a meno.

Cosi il premier immaginario prova ogni settimana una parte diversa da recitare. Nel mondo teatrale in cui è finito, ogni recita può avere un consenso di immagine che si espande ben al di là del palcoscenico in cui la finzione diventa realtà e la realtà finzione.

La decisione della giovane capitana di “Sea Watch” di rompere il blocco navale a Lampedusa, permettendo a pochi naufraghi esausti di sbarcare, ha dato a Conte la possibilità di distinguersi per ignavia -il difetto etico che soggiace alla tracotanza- rubando le vesti di Creonte a Salvini. Perdendo il senso delle proporzioni e della realtà, ha affermato perentoriamente che l’azione della capitana fosse di una «gravità inaudita». Le azioni gravi, si sa, chiamano punizioni esemplari. Chi, a nome di un governo nazionale, parla per iperboli insensate, dovrebbe essere consapevole di ciò che dice.

Conte non sa che le idee di Creonte portano alla sventura e alla morte. È un irresponsabile che viola la giustizia, mai serva di qualsiasi legge. Pensa che una legge ingiusta, fatta da uomini ingiusti, gli garantisca l’impunità, ma le violazioni dei diritti umani (oltre che delle leggi internazionali di soccorso) non vanno in prescrizione.
Come in tutte le situazioni farsesche che anticipano le catastrofi, l’arroganza parolaia (alleata dell’agire violento) balla con l’ipocrisia.

L’immagine della potente Europa che si difende con navi da guerra da un manipolo di sradicati (una delle tantissime schegge senza fissa dimora create dalla sua politica insensata di scambi ineguali), ci avrebbe coperti tutti di ridicolo, se dietro questa messa in scena non ci fosse la ferrea, stupida volontà di offrire «pane e spettacolo» alla massa rumorosa della parte inerte e inetta della nostra società. Un’entità, manipolata e manipolante, cieca di prospettive e priva di desideri, sentimenti e pensieri veri.

Se Salvini impersona il potere d’arbitrio, l’atteggiamento opportunista di Conte illumina il volto vero di un ordine che si sente profondamente illegittimo, perché è scollegato dalle esigenze reali dei cittadini, e agisce solo per colmare il vuoto di significato dal quale nasce, finendo per scavarlo più profondamente. Carola Rackete, compiendo un gesto politico degno di questo nome, squisitamente erotico, ha scompaginato le trame del Thanatos, il gioco necrofilo dei due gemelli inseparabili: l’arroganza e l’opportunismo. Affermando l’amore irriducibile per la vita e la sua dignità si è messa al di sopra di ogni tribunale. «Eros è invitto in battaglia» afferma Sofocle, e tra lui e un premier alla ricerca di un’identità, che solo il coraggio potrebbe regalargli, non c’è proprio partita. L’unica cosa, tremendamente importante, che ci possiamo chiedere, è quando dolore dobbiamo vivere prima che la spada di Damocle, che i pusillanimi hanno forgiato, cada sulla loro testa.

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