Una terribile e oscura pandemia ha per epicentro una cittadina del nord di meno che ottantamila abitanti che per molti tratti rimanda, però, più a un capoluogo di provincia dell’Italia meridionale, quasi a rimarcare quel luogo astratto, ovunque localizzabile nella penisola, dove la catastrofe potrebbe davvero aver inizio. Contagina. Questo il nome di fantasia, più evocativo non potrebbe essere, scelto da Piero Bevilacqua per ambientare il suo ultimo racconto (Contagina. Dove tutto ebbe inizio, Castelvecchi, pp. 160, euro 17.50). La surrealtà è un tratto tipico della penna dell’autore quando da saggista storico o politico si fa narratore; inverosimili e descritti con straordinaria potenza sono, infatti, gli eventi che colpiscono inizialmente Contagina ma finiscono per interessare tutto il pianeta: «Non brillarono stelle quella sera e un tozzo di luna, che a un certo punto spuntò, parve, a chi ancora stava a osservare il cielo, una medusa liquescente che si scioglieva nei vapori della notte».

IN QUEST’OPERA, tuttavia, la trascendenza si accompagna a un’ironia greve e sferzante. Bevilacqua prende di mira le «conquiste» sociali di quelli che vengono definiti i Tempi Nuovi, l’età delle pandemie sempre più ricorrenti e sempre più disastrose. Nei Tempi Nuovi, scrive, sono state riconosciute le controindicazioni fisiche allo studio e ciascuno gode della piena libertà di parola senza doversi curare troppo della veridicità o della plausibilità di quel che dice; e in parlamento, un’istituzione rimasta in piedi solo in omaggio alle antiche tradizioni, gli stessi deputati siedono a casaccio tra i banchi della sinistra e quelli della destra senza alcuna distinzione ideologica perché la politica si è, infine, liberata delle vecchie e stolide contrapposizioni tra partiti. Superati i conflitti che avevano contraddistinto l’età pre-pandemica e raggiunta la piena armonia fra di loro, gli schieramenti politici non rappresentano oramai che i medesimi interessi e non puntellano che gli stessi poteri. Si è così compreso che curare i malati ha effetti sociali perversi: impedisce l’immunizzazione selettiva della popolazione, unico vero ed efficace rimedio contro le pandemie, e appesantisce il già grave fardello del debito pubblico con conseguenze inevitabilmente nefaste sull’economia. È qui che la satira, sempre sapida e divertita, si fa ancora più pungente e attuale, scagliandosi contro la maniacale ossessione del Pil e il falso mito di una crescita senza limiti.

È EVIDENTE il richiamo alla necessità di combattere la crisi climatica e le pandemie, che alla prima sono correlabili, spezzando i dogmi del capitalismo che stanno portando l’umanità alla catastrofe. Bevilacqua, perciò, indica in una ritrovata capacità di rivolta la sola speranza di salvezza, non a caso l’esergo che precede la narrazione è tratto da Albert Camus. Ma è una porta appena dischiusa perché «essendo scomparso tra gli uomini l’istinto di salvezza, vale a dire l’antica attitudine alla rivolta, l’indomabile spirito di insurrezione che li aveva per lungo tempo accompagnati, la storia dei figli di Adamo era avviata a un circolo senza fine di disastri e d’illusorie rinascite».