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Contagi, ora la curva è stabile ma sempre alta

Contagi, ora la curva è stabile ma sempre altaUn infermiere esegue un tampone in drive in – Foto LaPresse

Covid 19 22mila nuovi casi con positivi al 16%. Saranno i prossimi giorni a dirci se l’effetto è reale. Molte le regioni a rischio saturazione

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 3 novembre 2020

Ieri sono stati registrati 22 mila casi positivi al coronavirus, cioè novemila in meno rispetto al picco di 31 mila casi di venerdì e sabato. I decessi sono stati 233. Il calo del numero dei casi del lunedì ormai è un rito consolidato. Anche stavolta corrisponde a 80 mila tamponi effettuati in meno rispetto ai giorni del picco. E infatti, la percentuale di test positivi rimane all’incirca agli stessi livelli (16% contro 15%).
Tuttavia, il dato di ieri segnala uno scostamento dal trend dei giorni precedenti anche se lo si confronta su base settimanale, in modo da non tenere conto delle fluttuazioni dei test. Mentre fino a pochi giorni fa la crescita del numero dei casi seguiva una curva esponenziale, ora nelle curve si intravede una tendenza alla stabilizzazione. Sono piccoli segnali: potrebbero essere gli effetti dei Dpcm di metà ottobre o più probabilmente di una maggiore attenzione nei comportamenti individuali, oppure illusioni statistiche: saranno i dati dei prossimi giorni a dirlo. Le aree con più casi rimangono anche oggi Lombardia, Campania, Toscana e Piemonte.
Anche nella crescita del numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva si intravede un rallentamento: per il quarto giorno consecutivo si è registrato un aumento giornaliero inferiore al centinaio di pazienti, ma sempre di un aumento si tratta. Ieri sono stati 83 i posti letto aggiuntivi utilizzati nei reparti di terapia intensiva. Il totale dei pazienti gravi supera così le duemila unità (2022 per la precisione). Tra le regioni maggiori, quella in cui le terapie intensive si sono riempite più velocemente nell’ultima settimana sono il Piemonte (+92%), la Lombardia (+80%) e il Veneto (+79%).
Eppure il sindaco di Milano Sala preferisce guardare il bicchiere mezzo pieno: «Si era ipotizzato che si arrivasse a un livello di terapie intensive al 31 ottobre di 600 unità» ma «la situazione è un filo meglio di quanto si immaginava 10 giorni fa». Sala sostiene la linea della Regione, contraria a misure ad hoc per la sola Lombardia. «Dalla Regione dicono di avere la situazione sufficientemente sotto controllo». Non è d’accordo l’Ordine dei medici milanese: «La situazione sia negli ospedali che anche nella medicina del territorio è diventata insostenibile – scrive il suo presidente Roberto Carlo Rossi – . «Non esistono piccoli rimedi a grandi problemi, così come non si può giocare a scaricare su altri ruoli e responsabilità: la situazione è molto seria e senza interventi drastici non può che peggiorare. È necessario intervenire con un lockdown immediato ed efficace».
Le regioni in cui i posti occupati in terapia intensiva sono cresciuti di meno sono il Lazio (+17%), la Sardegna (+23%) e la Liguria (+24%). Ma questo dato apparentemente positivo potrebbe essere influenzato dalla saturazione crescente delle strutture, che fanno sempre più fatica ad accogliere nuovi pazienti. Una parte della fiera di Genova potrebbe presto diventare un Covid hospital, per iniziativa di Protezione Civile e regione.
Anche i malati a casa non se la passano bene, privi o quasi di assistenza domiciliare. «Le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) non ci sono e questo lavoro dovrebbero farlo loro» protesta Domenico Crisarà, il vice-segretario del potentissimo sindacato dei medici di base Fimmg. «Non si sa in quali regioni siano state istituite, se siano entrate in funzione, e quando ci sono, non comunicano con noi». Una domanda assai legittima, ma che dovrebbe essere rivolta soprattutto al loro interno: in molte regioni importanti, primo fra tutti il Lazio ma succede anche in Emilia-Romagna, la gestione delle Usca è stata esternalizzata proprio alla Fimmg.

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