Contagi, la curva si stabilizza. Ma le vittime sono 352
Il punto sull'epidemia Il tasso di positività, cioè il rapporto tra test positivi e test eseguiti, è superiore al 10%, un segnale non del tutto positivo
Il punto sull'epidemia Il tasso di positività, cioè il rapporto tra test positivi e test eseguiti, è superiore al 10%, un segnale non del tutto positivo
I casi positivi registrati nelle ultime 24 ore sono stati 30541, emersi grazie a quasi 212 mila tamponi tra test molecolari e antigenici. Anche se sono circa duemila casi in più rispetto al giorno precedente, è un ulteriore segnale di stabilizzazione della curva. Il tasso di tamponi positivi è tornato al di sotto del 15%, segno che non si tratta di un rallentamento artificiale dovuto all’impossibilità di effettuare più test.
Se si trattasse di un autentico rallentamento del contagio, nelle prossime settimane dovrebbe ripercuotersi anche sul numero dei decessi e dei pazienti ricoverati. La curva dei decessi sconta infatti circa venti giorni di ritardo rispetto a quella dei casi positivi. Per ora non si intravedono frenate in questi numeri: 352 vittime in 24 ore, sono solo una meno rispetto al giorno precedente.
Simile il discorso sulle terapie intensive. Ieri hanno visto aumentare di altre 67 unità i posti letto occupati, arrivati ormai a 2292. L’aumento è inferiore rispetto ai 203 del giorno precedente, ma è troppo presto per interpretarlo come un dato incoraggiante. In molte aree (soprattutto nelle regioni classificate come «rosse») ci sono già fenomeni di saturazione dei reparti, e questo potrebbe limitare forzosamente il dato sui ricoveri. La metà dei ricoveri in più in rianimazione sono in Lombardia, dove i pazienti Covid ricoverati sono oltre cinquecento.
La giornata è stata densa di incontri per la cabina di regia formata da ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità, a cui il governo ha chiesto una nuova valutazione del rischio delle regioni prima di decidere le restrizioni territoriali. Della cabina di regia fa parte il direttore generale della prevenzione, l’infettivologo Gianni Rezza. Proprio Rezza ha trovato il tempo, tra una riunione e l’altra, di analizzare con i giornalisti la situazione.
Sui casi mostra un ottimismo prudente: «Non posso pronunciarmi in maniera definitiva, ma negli ultimi giorni vediamo una certa stabilizzazione a livelli relativamente elevati» mentre «prima raddoppiavano all’incirca ogni settimana». Ma lo stesso Rezza invita alla cautela: «Il tasso di positività, cioè il rapporto tra test positivi e test eseguiti, è superiore al 10% e questo è un segnale non del tutto positivo».
Per quanto riguarda i ricoveri in terapia intensiva «in quasi tutte le aree del paese non si registra una vera e propria criticità, anche perché il numero di posti è aumentato». Anche in questo ambito «il trend sembra mostrare una certa stabilizzazione», ma non è facile stabilire se si tratti dell’impatto dei Dpcm di ottobre.
Prima di tornare al tavolo in cui si decideva quali regioni colorare di rosso sulla mappa del rischio, Rezza ha spiegato che non è facile affidare queste scelte a meccanismi automatici basate su indici come Rt o il numero dei casi. Certo, finirebbero gli estenuanti negoziati tra governo e regioni che stanno rallentando l’azione sanitaria. Ma la valutazione deve tenere conto della complessità della pandemia.
«Se una regione non riporta con completezza i dati gli indici tendono a sballare» quindi bisogna anche valutare «la resilienza del sistema sanitario e quanto sono completi i dati». Il riferimento va alla Calabria, attualmente tra le regioni a rischio nonostante un’incidenza dell’infezione decisamente limitata, e alla Val D’Aosta. Sono queste, insieme a Lombardia e Piemonte, le regioni che da venerdì saranno considerate «rosse».
A Puglia e Sicilia toccherà l’arancione, un gradino sotto sulla scala del rischio. Gialle tutte le altre, che subiranno misure più «leggere».
L’accordo tra regioni e governo su chi dovesse assumersi la responsabilità di scelte mirate sembra essere già saltato. Il governatore lombardo Attilio Fontana ha iniziato a protestare ancor prima che il governo ufficializzasse le decisioni, chiedendo che le valutazioni siano fatte in base a dati aggiornati. Ma il ritardo con cui avviene l’analisi del Comitato tecnico scientifico è dovuta alla lentezza con cui le regioni stesse effettuano i test, il tracciamento dei contatti e la comunicazione dei dati al governo.
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