Tutti assolti perché il fatto non sussiste i 14 imputati del cosiddetto «filone consulenze d’oro» collegato al crack di Banca Etruria. Gli imputati, fra i quali Pier Luigi Boschi padre della deputata di Italia Viva, erano accusati di bancarotta colposa per una serie di consulenze commissionate nel 2014 dall’istituto di credito aretino, per studiare l’ipotesi di fusione con un altro istituto, individuato nella Banca Popolare di Vicenza. Un’operazione che non andò a buon fine, ma che dopo il fallimento della banca portò ad una inchiesta parallela a quella per la bancarotta fraudolenta di Etruria.

«È emersa una verità scontata – ha commentato uno dei difensori, Luca Fanfani – cioè che nel momento in cui Banca d’Italia nel dicembre 2013 impone a Banca Etruria di trovare un altro istituto con cui fondersi, la obbliga ad accollarsi ingenti spese per advisor legali finanziari e industriali. Esattamente le spese contestate dalla procura». Da parte sua il procuratore Roberto Rossi, che coordina il pool investigativo su Banca Etruria, dopo la lettura della sentenza ha commentato: «Aspettiamo le motivazioni, poi valuteremo se fare ricorso in appello». Sollevata, va da sé, Maria Elena Boschi, pronta a commentare: «È finito un calvario, ho pianto di gioia».

Chiusi i due processi di primo grado, per il crack di Banca Etruria al momento gli unici condannati per bancarotta fraudolenta sono l’ex presidente Giuseppe Fornasari e l’ex dg Luca Bronchi (cinque anni di reclusione), l’ex dg Alfredo Berni (due anni) e l’ex consigliere del cda Rossano Soldini accusato di bancarotta semplice (un anno), tutti giudicati con rito abbreviato. A loro va aggiunto l’altro consigliere Alberto Rigotti, condannato a 6 anni con il rito ordinario sempre per concorso in bancarotta.