Ci sarà un motivo (e anche più d’uno) se La scuola continua ad essere dopo vent’anni uno dei rari cult della scena italiana. Non nel senso dell’istituzione ovviamente, che pure ogni anno aumenta i suoi acciacchi, ma lo spettacolo tratto dagli scritti di Domenico Starnone, che proprio i lettori del manifesto ebbero il privilegio di leggere per primi in una fortunatissima rubrica sulle pagine del giornale. Da quegli irresistibili Ex cattedra, che per la prima volta offrivano una sorta di rilettura dell’ambiente scolastico dalla prospettiva dell’insegnante (per giunta consapevole, volenteroso e democratico), e che nascevano dall’esperienza diretta dell’autore in una scuola della periferia romana, nacque subito una versione teatrale con Silvio Orlando e Angela Finocchiaro protagonisti, dal titolo Sottobanco. E poi un film per la regia di Daniele Luchetti intitolato invece La scuola. E lo stesso regista con lo stesso titolo ne approntò in seguito una nuova versione per la scena, sempre con Orlando protagonista.

Come un vero classico da repertorio inglese, lo spettacolo oggi può tornare ancora in scena in quell’ultima versione (al Quirino, fino al 10 aprile) e come allora suscita ilarità e amarezza presso un pubblico che, anche alle repliche pomeridiane, non è appannaggio esclusivo di studenti e insegnanti, ma assolutamente misto e normale. Molte, moltissime cose son cambiate in questi ultimi decenni nella scuola italiana, e ovviamente non per il meglio. Fa impressione che a un tratto venga nominata non senza disappunto, nel consiglio di classe che è l’habitat drammaturgico del racconto, la allora ministra della pubblica istruzione Rosa Russo Jervolino. La cui evocazione, se si vuole, fa oggi quasi «tenerezza», in confronto alle disinvolte riformatrici che le sono succedute, rispetto a lei tutte sempre dall’acconciatura impeccabile: Letizia Moratti, Maria Stella Gelmini, fino all’attuale Stefania Giannini, pencolante tra un eterno sorriso nevrotico e l’invettiva «antifascista» o antiterrorista verso chiunque si azzardi a contraddirla.

Bersagli del testo sono d’altra parte carenze del sistema scolastico italiano ormai quasi incurabili, dall’ignoranza crassa di molti docenti fuori della propria disciplina, al pressapochismo di chi ha accettato di insegnare in un quadro di attività lavorative variegate, fino al distacco profondo e sempre più acuto dell’istituzione scolastica dalla realtà vera della società. Per non parlare di vizietti nazionali acuiti e valorizzati da ondate successive di governi e salotti che sanno ormai benissimo cosa sia la meritocrazia, proprio per non applicarla; anche perché regole e favori sono divenute strumenti di massa, anche nelle aree che un tempo si chiamavano «di sinistra». Lo scrutinio finale cui il consiglio di classe si applica per l’intero secondo atto della commedia, è agghiacciante. E non tanto perché continua a riunirsi in palestra per l’annosa indisponibilità della sala professori, ma perché non risparmia neppure i docenti più sensibili che vorrebbero impegnarsi nel «recupero» dei ragazzi più difficili.

Si ride, e molto, durante lo spettacolo, ma si coagula altrettanta amarezza, soprattutto per le generazioni in platea che si erano illuse e impegnate per far fuori dalla scuola favoritismi e ingiustizie, moralismi, ignoranza e disparità di trattamento. La macchina istituzionale della scuola sembra inarrestabile nelle sue vittorie, adeguate e oliate all’uopo dalla compiacenza delle ministre suddette.

Nell’impossibilità di fare «santo subito», e oggetto di studio obbligato, don Lorenzo Milani, resta la piccola vendetta di poter ridere in faccia agli insegnanti in bollore senile, al preside piovuto da un altro pianeta, al professore di religione ipocrita e trascurato nell’igiene, all’insegnante di storia dell’arte che conosce solo Simone Martini e lo evoca a sproposito per qualsiasi secolo ed occasione (ma sfodera anche un invidiabile e chilometrico fotocolor/identikit degli allievi per districarsi nelle centinaia che le tocca valutare), alla professoressa di ragioneria che oltre al buon senso impugna il buon cuore nella gita scolastica (a Verona, of course) riuscendo a imbastire una fuga romantica col collega di lettere. Ovvero Silvio Orlando, adorabile anima e magnete di questo consiglio di classe davvero «storico» per quanto sbrindellato, ma che proprio per questo si pone come una sorta di libro Cuore rovesciato per il ventunesimo secolo.