Considerazioni intorno a una possibile «zoologia dell’arte»
FESTIVAL «L’ETÀ DEL RIMEDIO» Anticipiamo un estratto di uno degli interventi dell'incontro. Dall'8 al 16 giugno, a Borgo di Soleschiano e Rosazzo (Udine)
FESTIVAL «L’ETÀ DEL RIMEDIO» Anticipiamo un estratto di uno degli interventi dell'incontro. Dall'8 al 16 giugno, a Borgo di Soleschiano e Rosazzo (Udine)
Animalità e Arte contemporanea sono legate a doppio filo, lo sono da sempre. In entrambi i casi, assistiamo alla dimensione con cui la filosofia, ovvero l’umanità, tenta di accedere al segreto che eccede il linguaggio. Essere animale significa essere animale non-parola, quella dimensione del pre e post verbale in cui la vita semplicemente si muove, scorre, si manifesta. La vita che scalpita e nitrisce, come i cavalli qui a Rave, che striscia e nuota, che semplicemente respira.
LA VITA CHE ESPLODE. Questa, anche se sembra tutto ancorato al fango e al sudore dell’animale, in realtà è anche l’essenza dell’arte contemporanea: nata concettuale con la prefazione all’Estetica di Hegel, risolta in immateriale, è l’arte che abita il proprio tempo provando a forzare la settima proposizione – quella conclusiva – del Tractatus di Ludwig Wittgenstein («Su ciò che non mi è dato sapere si deve tacere»). Un bel tacere, diceva qualcuno, non fu mai scritto: e di fatto l’arte contemporanee è il silenzio che si fa forma, la trita, diventa performance o suono, taglio o assenza. La forma che esplode. L’arte contemporanea è un gesto: un gesto che non può più ignorare l’animalità ma che deve tenerla stretta a sé, a doppio filo, per lottare unite contro il recinto cognitivo dell’antropocentrismo.
L’ETÀ DEL RIMEDIO è implicata dall’età della tragedia: da una politica bloccata su questioni vuote, da una situazione internazionale reazionaria, da ghiacciai che si sciolgono, da animali che soffrono a miliardi, da migranti accatastati come numeri sul fondo del mediterraneo, dalle urla del femminismo, dell’ecologia, della possibilità di una nuova isola in cui salvarsi dal mondo che crolla. Solo sopra tutto questo, e per suo tramite, si sviluppa il contemporaneo – l’abitare con conflitto ciò che è attuale, rigettandolo e avvitandosi al suo interno per cambiarlo. La posizione dell’animale appare dunque potente, come potente è la posizione dell’artista: uniche prospettive, queste due, in grado di osservare le cose al di là della deriva umana che ha creato il mostro. Il rimedio, dunque, è altrove: nel divenire animale, nella zoologia dell’arte, nell’arte che non è più contemporanea ma appunto è arte-animale. Gli animali sono ovunque ma noi non li vediamo; sono gli alieni che cerchiamo in alto, mentre invece sono in basso e in mezzo a noi. Gli istanti intensi che chiamiamo artistici sono ovunque, ma noi non li vediamo; sono le occasioni con cui la realtà si piega e offre un’alternativa, la anticipa. Pensiamo di trovare i primi negli zoo, i secondi nei musei: e dunque congelati – come se un animale potesse apparire dietro una sbarra o un’opera dietro una teca.
COSA PUÒ UN CORPO, si chiedeva Gilles Deleuze pensando a Spinoza: se il corpo di un animale, o il corpo vivo di un’opera d’arte, è frenato dalla teca allora non può niente – è stoppato, un sentiero interrotto. Ecco perché animalità e arte, alleate del cambiamento possibile nell’età del rimedio, sono soprattutto connesse dalla parola «liberazione» – il processo attraverso cui si realizza la libertà. L’animalità, che la vita tutta deve liberare, l’arte contemporanea, che gli occhi atrofizzati da immagini vuote e prive di senso deve svuotare. Tutto esplode ancora una volta, ma stavolta per sempre: la liberazione animale, la liberazione artistica. Qualche anno fa, nel libro che ho scritto insieme alla storica dell’arte Valentina Sonzogni che si chiamava Un’arte per l’altro (2014), ci chiedevamo quanto e come arte contemporanea e animalità non fossero poi semplicemente due parole diverse per raccontare la voglia di distruggere barriere fittizie, alterità inesistenti, riscoprire il fascio unico dell’esistenza attraverso la natura delle cose.
LE IMMAGINI, l’animale immagine, la vita umana immaginaria… chi lo sa, ora che tutto trema, a cosa davvero è appeso il futuro di chi dovrà dipingere il quadro più complesso di sempre. Il quadro della vita che verrà. Si dirà che tutto ciò è inutile, e ne convengo: elogiamo le cose inutili, il capitalismo della vita si batte così – con le azioni senza obiettivo, come quelle degli animali fatte solo perché non si poteva fare altrimenti. Se sapessimo esattamente dove stiamo andando, quando facciamo arte o gesti di libertà, probabilmente non faremmo neanche un passo per andare.
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