Gli equilibri politici sembrano pesare quasi più della scienza, nel timing della ripresa della mobilità tra le regioni. Forse è per questo che l’atteso monitoraggio settimanale con i dati provenienti da tutto il territorio nazionale, relativi al periodo dal 18 al 24 maggio, è stato diffuso ieri nella versione più light, senza i consueti 21 indicatori che inquadrano lo stato dell’epidemia da Covid-19, e ridotto all’osso del fattore Rt, indice della potenziale trasmissibilità del virus ma che, come spiega lo stesso Istituto superiore di sanità, da solo vuol dire assai poco. E infatti è il Molise l’unica regione a superare il limite dell’unità, con un Rt pari a 2,2 (a causa di un focolaio locale), mentre il Friuli e l’Umbria arrivano allo 0.9 e la Lombardia si ferma a 0.75.

La cabina di regia, che ha analizzato i dati al completo, ha fatto le sue valutazioni, ma a fine riunione il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, si è limitato a comunicare con un video che «il trend è buono pressoché in tutte le Regioni», a dimostrazione «che gli effetti del lockdown sono stati estremamente positivi». E ha invitato a «continuare a tenere alta la guardia». Solo a sera, per sciogliere il nodo delle riaperture e decidere come procedere nella Fase 2, il premier Conte ha riunito i capidelegazione della maggioranza, il ministro degli Affari regionali Boccia e quello della Salute Speranza. Una riunione che si è protratta fino a tardi.

«L’INCIDENZA settimanale rimane molto eterogenea nel territorio nazionale – spiega l’Iss – In alcune Regioni il numero di casi è ancora elevato denotando una situazione complessa ma in fase di controllo. In altre il numero di casi è molto limitato. Si raccomanda pertanto cautela specialmente nel momento in cui dovesse aumentare per frequenza ed entità il movimento di persone sul territorio nazionale». Non si registrano, inoltre, «segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali ospedalieri sul territorio nazionale».

Per il presidente dell’Iss, Brusaferro, dunque «pur in un contesto di persistente trasmissione diffusa del virus con incidenza molto diversa nelle 21 Regioni», la «situazione attuale è complessivamente positiva», anche se permane la necessità di misure precauzionali «quali l’igiene individuale e il distanziamento fisico». Già durante l’audizione in Commissione Bilancio, alla Camera, ieri mattina Brusaferro aveva raccomandato di fare molta attenzione e di rafforzare il monitoraggio nella fase di liberalizzazione della mobilità tra le regioni e quella internazionale.

DAL TERRITORIO NAZIONALE arrivano però spinte opposte. Da una parte i governatori che vorrebbero riaprire tutto il 3 giugno, come il presidente dem delle Marche Luca Ceriscioli, quello dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, il ligure Giovanni Toti o Jole Santelli che invita i governatori del Nord ad «una buona cena calabrese: cucino io». I deputati trentini ed altoatesini della Lega chiedono di «riaprire il prima possibile le frontiere del Brennero». Dall’altra c’è chi procederebbe con più cautela (il campano Vincenzo De Luca o il toscano Enrico Rossi), rinviando il tutto all’8 giugno o addirittura al 10 giugno; alcune Regioni pretendono autonomia decisionale (la Sardegna, in particolare, dove il presidente Christian Solinas ha già imposto a chi in questi giorni sta sbarcando sull’isola l’obbligo di esibire una certificazione), e altre spingono per una riapertura all’unisono.

SALVINI, si sa, vuole ripartire al più presto; Vito Crimi e il ministro Boccia sono convinti dell’«uniformità» della mobilità interregionale. Il ministro Speranza (Leu) è il più prudente, e da Roma arriva anche l’allarme dell’assessore regionale alla Sanità D’Amato, preoccupato per l’urto che una riapertura immediata, dettata «più da pressioni politiche che da evidenze scientifiche», può avere in particolare sulla Capitale. «Ci sono troppe pressioni perché riparta il Nord, ma bisogna basarsi su evidenze scientifiche – dice intervistato dal Messaggero – Non vorrei prendere nessuna iniziativa di protezione della nostra regione, ma se ci sono forzature qualcosa deve essere fatto».

EPPURE, malgrado preoccupino i dati di Lombardia, Piemonte e Liguria che «non sono pronte alla riapertura» secondo la Fondazione Gimbe (querelata da Fontana per averlo accusato di nascondere i dati reali), – a dire il vero, qualche dubbio lo nutre anche lo stesso assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera – l’orientamento predominante nel governo sembrerebbe essere quello di rispettare la data del 3 giugno già prevista nel Dpcm e dunque abbattere subito anche i “confini” regionali, oltre a quelli nazionali. La decisione però non sarà presa prima di domenica, il ministro Boccia vuole confrontarsi ancora con i governatori. Il ministro Speranza, il più prudente, alla fine però capitola: «Al momento non ci sono ragioni per rivedere la programmata riapertura degli spostamenti».