Dovevano essere un «numero piccolissimo» e invece sono 20 mila. Il giorno dopo l’inizio delle prove scritte del concorsone per 63.712 posti per insegnanti nella scuola, ai 165 mila candidati se ne aggiungeranno altri 20 mila neolaureati senza l’abilitazione. Questa sarebbe la cifra complessiva dei ricorrenti, comunicata ieri dal sindacato Anief, esclusi dalla prova dal Ministero dell’Istruzione. Una crepa nelle certezze del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini che solo poche ore prima si era detta certa che i ricorrenti erano «un numero piccolissimo».

Ieri un provvedimento di urgenza del Consiglio di Stato ha accolto tre ricorsi e ha riammesso alle prove del concorso a cattedra laureati e diplomati magistrali a indirizzo linguistico. A questi dovrebbero aggiungersi tutti gli altri, portando il numero complessivo dei candidati a circa 185 mila. Per il momento i neolaureati saranno ammessi con riserva e già l’Anief, il sindacato che ha presentato i ricorsi, annuncia che «se il Miur rimasse fermo nella sua linea di conservatorismo a oltranza, nei prossimi giorni renderemo note tutte le iniziative legali per consentire a tutti i ricorrenti di partecipare alle prove scritte». Da oggi fino al 31 maggio, tanto dureranno le prove scritte del concorso, si dovranno trovare i computer, le aule e rifare i calendari di esame, contemplando i nuovi arrivati. Oggi si sta pensando di organizzare prove suppletive per i ricorrenti che non potranno partecipare agli esami stabiliti dal calendario pubblicato il 12 aprile scorso.

«La vittoria avviene il giorno dopo l’inizio delle prove scritte e intorno alla polemica sulle azioni giudiziarie scoppiata nel web – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief – I laureati, quindi, hanno diritto a partecipare a tutte le prove ma a vedersi riconosciuto l’inserimento nelle finali graduatorie di merito soltanto dopo il definitivo pronunciamento, se favorevole, del giudice amministrativo». Sul concorsone renziano l’incertezza aumenta e rischia di diventare un caos. Sul web la notizia ha fatto infuriare i docenti abilitati con un tirocinio attivo formativo (Tfa) o i Percorsi abilitanti speciali (Pas) detti anche «Tfa speciali» che in molti casi hanno diversi anni di insegnamento alle spalle. Queste persone avrebbero dovuto essere assunte l’anno scorso insieme alla prima ondata di 102 mila docenti, in virtù del loro titolo ottenundo pagando tasse da quasi 3 mila euro e degli anni di esperienza già maturati. Il governo lo ha impedito perché, per tempo, è stato abolito il valore concorsuale dell’abilitazione. Una vera discriminazione rispetto ai docenti che si sono abilitati nelle vecchie Scuole di specializzazione all’insegnamento (Siss), chiuse nel 2009 dall’ex ministro Gelmini.

Il concorso attuale voluto, in fretta e furia, da Renzi e Giannini coinvolge una categoria già valutata e messa alla prova che non ha bisogno di essere nuovamente esaminata, ma messa al lavoro. Le prove avrebbero dovuto coinvolgere i neolaureati per abilitarli e assumerli. Il pasticcio coinvolge almeno due generazioni di docenti e li ha messi le une contro le altre.
Questo è il prodotto dalla deliberata intenzione del governo di non applicare la sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha condannato l’Italia per abuso di contratti a tempo determinato nella scuola. I giudici europei hanno chiesto la stabilizzazione di tutti i docenti che hanno lavorato nella scuola per 36 mesi negli ultimi cinque anni. Parliamo di oltre 200 mila insegnanti precari, anche se i numeri non sono ancora certi. L’ordinanza del Consiglio di Stato dimostra inoltre che la platea degli aventi diritto stabilita in maniera unilaterale non è mai stata coerente con le regole generali che sovrintendono i concorsi pubblici nel nostro paese.

Domenico Pantaleo (Flc-Cgil) parla di «una lunga serie di errori del Miur e del ministro Giannini. Le vittime sono i docenti esclusi dal concorso costretti a farsi riconoscere un diritto ad accedere a un concorso dalla giustizia amministrativa». La Flc-Cgil chiede «un percorso separato e preferenziale per gli abilitati con servizio» e di «un piano pluriennale di immissione in ruolo di tutti i precari della scuola, evitando il rischio di produrre una gerarchia tra docenti, quelli di serie A, quelli di serie B e quelli di quarta serie». Sul futuro dei docenti, e degli studenti, si allunga l’ombra di un nuovo, infinito e seriale contenzioso giudiziario.