Poco più di venti anni fa usciva, edito da Colonnese, il libro di Lamberto Lambertini Sono nata a Procida – Memoria impossibile di Concetta Barra, con le illustrazioni di Fabio Donato. Era quasi scontato che l’autore tornasse a raccontare Concetta Barra, ma in questo lungo lasso di tempo Lambertini, artista poliedrico (scrittore, pittore, regista teatrale e cinematografico), ha raggiunto la maturità che lo ha spinto naturalmente a fare un film sulla cantante e attrice procidana che aveva già diretto a teatro insieme al figlio Peppe Barra. Quando un artista racconta un altro artista, nel migliore dei casi si produce un cortocircuito, ma in questo caso non scaturisce tanto da un’evidente diversificazione letteratura/cinema, quanto dal fatto che Lambertini si è messo con umiltà creativa e tecnica (fondamentale il contributo del suo fedelissimo direttore della fotografia e montatore Carlo Sgambato) al servizio dei materiali raccolti negli anni su Concetta, si è sintonizzato sulla vita privata e artistica dell’attrice, ha fatto parlare lei, il suo corpo, la sua impareggiabile espressività, il suo linguaggio verbale e facciale con una presenza quasi invisibile.

Un sodalizio quello di Lambertini con i due Barra lungo 12 anni (dal 1981 al 1993), vissuti intensamente e spericolatamente, ricchi di successi in tutto il mondo. E tanto per non alleggerire il feeling artistico ed esistenziale esclusivo con i Barra, continua a lavorare con Peppe e, a cavallo delle Feste di Natale, ha firmato la regia della tradizionale Cantata dei Pastori e se Peppe, a quasi ottant’anni, continua a interpretarne il protagonista, Razzullo, con un’energia e un entusiasmo incredibili, Lamberto ne ha stravolto la visione scenica con un occhio cinematografico e pittorico, con la luminosa, astratta e favolistica scenografia di Carlo De Marino e i costumi presepiali di Annalisa Giacci.

Nata a Procida, prodotto da Gaetano Di Vaio per Bronx Film e Dario Formisano per Eskimo Produzioni, con le musiche originali di Savio Riccardi, l’aiuto regia di Francesco Esposto, la produzione esecutiva di Fabio Gargano, ora è pronto per affrontare, tra festival, rassegne e serate-evento, la reazione di quel pubblico che, per motivi anagrafici, non ha mai potuto godere del magico carisma di Concetta in scena. Un film a due voci, perché quella di Concetta è interpretata ad un leggìo da Lalla Esposito, attuale partner artistica di Peppe Barra. Con le scene oniriche girate a Procida, illuminate dai canti di Concetta, i mille frammenti d’archivio, le riprese amatoriali e le riprese professionali, è un film che entra ed esce dall’anima, dal suono, dalla personalità di Concetta per mostrarne le più incredibili sfaccettature, umane, spirituali e artistiche. Un film che mette, a tratti, in parallelo, lampi di prove dello spettacolo Non c’è niente da ridere, messo su per lo scorso Campania Teatro Festival, spettacolo che ha siglato il ritorno del sodalizio Barra/Lambertini dopo ben venticinque anni e che è anche un amoroso omaggio a quel teatro che portarono dappertutto con pubblico in delirio e critica esaltata e sorpresa dal 1981 al 1993, anno in cui, anzitempo, Concetta morì. Per la prima volta, al posto di Concetta, una nuova compagna d’arte, Lalla Esposito, la prima con la quale Peppe davvero si ritrova in scena.

Magnifica attrice e cantante che, senza imitarla, mostra sulla scena il senso, il linguaggio, lo spirito stesso di Concetta, dimostrando anche la stessa autoironia, nell’imbruttirsi nei panni ridicoli di Sarchiapone, alter ego di Razzullo. Un film che è tutto fuorché un documentario, perché non c’è proprio nulla da documentare. «Questo film – dice Lambertini – è un viaggio nella memoria. Il ricordo gioioso di Concetta Barra, amica indimenticata, cantante e attrice senza pari, che ho avuto il privilegio di amare. La prima volta che l’ho vista è stato al Teatro Esse di Napoli, diretto dal vertiginoso Gennaro Vitiello. Nell’intervallo di uno dei primi concerti della Nuova Compagnia di Canto Popolare, guidata con cuore impietoso dal Maestro Roberto De Simone, appare a sorpresa Concetta Barra, la luce di riflettori ritaglia gli zigomi alti, accarezza la fronte rotonda, bagna le spalle magre protette dai fiori dello scialle. Accompagnata dalla chitarra del figlio Gabriele, canta Il Cavaliere e la Morte, antico canto di Procida, la più piccola isola del golfo, la sua isola. Le sue immense mani, morbide e ossute, modellano a suo piacere il vuoto che la circonda, nella sua voce risuona l’eco di un dolore segreto, di un amore mai spento».

Dodici anni di teatro, duecento repliche a stagione, l’Italia a tappeto e all’estero nei più prestigiosi palchi d’Europa fino a New York e a Bombay. Spettacoli prodotti da Festival Internazionali con stile e linguaggio nei quali Concetta era genialmente a suo agio. «La Rai produsse tre film con la mia regia, Artisti, Nel regno di Pulcinella, Signori, io sono il comico – aggiunge Lambertini – tre originali percorsi televisivi per tre momenti diversi, nel tempo, del nostro modo di pensare e di fare teatro, che cercava di coniugare la risata con la commozione, il realismo con la follia, la tradizione con la sperimentazione, la raffinatezza con la volgarità. Riapro, dopo anni, un baule pieno di copioni, fotografie, ritagli di giornali, programmi di sala, pubblicazioni, interviste, recensioni, filmati girati per gioco, per ricordo, per studio, frammenti di tournée, di prove generali, di quinte, di camerini. Tra le gemme nascoste, ecco il quaderno sul quale Concetta trascriveva i suoi sogni, rigorosamente ogni mattina, con annessa traduzione del significato. Ecco le sue lettere che ancora mi sorprendono per la profonda ricchezza letteraria e spirituale. Ecco le foto di scena di Fabio Donato. Infine, ancora inedite, le riprese che facemmo durante le prove di uno spettacolo pensato per lei, da sola in scena insieme con le guarattelle di Brunello Leone. Il silenzio di Pulcinella era il titolo provvisorio. Erano le ultime prove prima di uno spettacolo che non riuscì ad andare in scena. L’estate era alle porte, così decidemmo di rimandare il debutto alla stagione seguente.

Stagione che non arrivò mai, perché Concetta morì il 4 aprile del 1993. Queste riprese sono di una tale qualità, e così ben conservate dopo quasi trent’anni, da confondersi benissimo con quelle girate durante le prove di Peppe Barra e Lalla Esposito per lo spettacolo Non c’è niente da ridere. L’idea, imperiosa, è di raccontare i migliori momenti di quel teatro surreale, comico e poetico. Quello stile, quel linguaggio, quel repertorio, di quella coppia unica, così rara in teatro, di madre e figlio. Nessuna intervista a critici, studiosi, nessuna testimonianza di amici e colleghi, come sembra d’obbligo nei documentari, ma questo è un film molto personale e forse non è nemmeno un film. Ci sono i racconti di Concetta sulla sua vita e la sua arte: l’infanzia, la guerra e il dopoguerra, i suoi sacrifici di moglie e di madre, il suo abbandono forzato del palcoscenico, il ritorno sulle scene per merito del figlio che, giovanissimo, già faceva i primi passi d’attore e cantante, il Teatro Esse, la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Fu il fiuto geniale di Roberto De Simone, colpito dal canto di Concetta affaccendata in cucina, che la fece debuttare, a cinquant’anni compiuti, nella Gatta Cenerentola. Ne aveva sessanta quando divenne protagonista degli spettacoli della nostra Compagnia. Il teatro sarà la sua casa, il suo mondo, la sua vita, fino alla fine. Forse la necessità di questo viaggio cinematografico sta nella certezza che ricordare il passato e come ricordare un sogno prima che svanisca del tutto, cercando di rappresentare le situazioni in un impasto onirico di presente, di passato e di futuro. Percorrendo con passo visionario le strade indivisibili dell’Arte e della Vita.

Il progetto ha ottenuto un sostegno dalla Film Commission della Regione Campania e del Ministero dello Spettacolo. Le riprese, cominciate nella Pasqua del 2020, furono interrotte dal Covid. Ma ecco, dopo tanti rimandi, chiusure e sofferenze, due coincidenze incredibili: Procida è stata nominata, come si sa, per il 2022, Capitale della Cultura, e Concetta, proprio nel 2022 avrebbe compiuto cento anni». A supporto dell’operazione non si può non ricordare quanto ha scritto Roberto De Simone sulla unicità della voce dell’artista: «Quando Concetta Barra cantava, aveva trecento anni e ne dimostrava quindici; il suo canto rifuggiva dall’essere registrato su nastro magnetico, ma, magneticamente, restava inciso nell’anima di chi l’ascoltava, addensando echi dell’ombelico del mare, di trenodie pasquali, di rosari estivi, di sudori invernali e di voluttuose memorie di balsami per l’imbalsamazione di Dio, e di ulivi per la Sua resurrezione. Talvolta, a Procida, nelle sere d’agosto, alzate gli occhi al cielo e scorgerete nel volto della luna i tratti di un riso ambiguo, di un ridere di tutto, anche della morte. È quello l’ultimo canto notturno di Concetta».

Peppe Barra e Napoli
La versatilità, la statura artistica, la forza comunicativa di Peppe Barra sono inversamente proporzionali alla sua ritrosia a parlare di se stesso, di altri e di altro. Notoriamente refrattario a farsi intervistare e ad esporsi fuori dal paloscenico per intervenire in convegni, incontri e celebrazioni, il grande attore, cantante e musicista questa volta ha ceduto e non poteva essere altrimenti visto che a «torchiarlo» ci ha pensato una giornalista di razza come Conchita Sannino, firma storica e inviata del quotidiano La Repubblica, autrice di libri, inchieste, documentari.

Insomma Peppe non poteva dire di no alla prima autobiografia che vuole andare oltre il racconto personale per parlare di Napoli e del suo rapporto simbiotico con la città. Peppe Barra racconta Napoli con Conchita Sannino (Editori Laterza, pagg. 126, euro 15,00), strutturato in forma d’intervista, ha il dono di far parlare Peppe a ruota libera, di tirargli fuori ricordi, annotazioni, riflessioni con la rilassatezza colloquiale di una seduta psicoanalitica.

Lo straordinario interprete e cantante che continua a sperimentare e a sorprendere, una delle ‘maschere’ più potenti e sensibili di una grande cultura della scena, riconosciuta in Europa e nel mondo, che continua a intrecciare i capisaldi della tradizione popolare con la curiosità per le melodie contemporanee, si lascia interrogare senza filtri dalla Sannino. Ne è scaturita una piacevole conversazione che non è solo un viaggio appassionante e ironico con un mattatore amato da De André e Fellini, ma si fa storia collettiva e ‘indagine’ sulla propria terra e sul Sud. Organizzato in sei capitoli dopo il bellissimo prologo intitolato «Un saraceno e la sua torre sulla città. Tra sacro e profano», il libro-intervista sviscera le varie fasi del percorso artistico e privato di Barra: l’infanzia nella magica Procida, la Napoli devastata dalla guerra, i sogni da bambino prodigio, la ‘rivoluzione’ di Gatta Cenerentola, il sodalizio artistico con sua madre Concetta, la carriera da solista e la lunga collaborazione col regista Lambertini, il suo rapporto con la città reale e quella rappresentata e immaginaria, il suo rapporto con la politica e con la sinistra. L’autrice ha strutturato la lunga e complessa attività dell’artista con il giusto dosaggio in modo da far emergere un profilo intellettuale insospettabile, almeno per chi tende a semplificare la personalità di alcuni uomini di spettacolo considerandoli soprattutto in chiave di ciò che vedono e sentono sul palcoscenico o sullo schermo. Barra si fa guidare dalle domande della Sannino per andare oltre il racconto privato e artistico, per approdare a una dimensione di concetti profondi, di riflessioni anche filosofiche che gli fanno dire, ad esempio, « Se sei triste, ma conservi la forza di varcare una soglia, in questa città trovi sempre un luogo che ti strappa a te stesso, che ti trascina alla vita. Se ami Napoli, sai dove andare. E la città ti accoglie, ti sorregge e ti parla».