Il voto spacca la Confederazione a metà
Svizzera Nel cuore dell'Europa, con un referendum vinto per una manciata di voti, il partito nazionalista vince la sua battaglia "contro l'immigrazione di massa". La preoccupazione dei frontalieri italiani di fronte al voto del Canton Ticino, la zona dove la campagna xenofoba ha fatto breccia
Svizzera Nel cuore dell'Europa, con un referendum vinto per una manciata di voti, il partito nazionalista vince la sua battaglia "contro l'immigrazione di massa". La preoccupazione dei frontalieri italiani di fronte al voto del Canton Ticino, la zona dove la campagna xenofoba ha fatto breccia
Gli stranieri, a casa. A tre mesi dalle elezioni europee, gli elettori svizzeri hanno scelto di votare “sì” alla restrizione degli ingressi per gli immigrati provenienti anche dall’Europa occidentale. Un precedente che potrebbe assumere un significato storico e nefasto per il futuro dell’Unione europea. Il referendum “contro l’immigrazione di massa”, promosso dall’Unione di Centro, il partito conservatore e xenofobo di Christoph Blocher, punta a rigettare l’accordo di libera circolazione in vigore con la Ue ed a reintrodurre le quote di ingresso per i lavoratori stranieri. Ha detto sì il 50,3%, con uno scarto vincente di appena 19.516 schede.
Su una popolazione di otto milioni di abitanti, in Svizzera vivono circa 1 milione e 800 mila stranieri (23,3% del totale). Il maggior numero di abitanti stranieri proviene dall’Italia (291.800 pari al 15,6%) e dalla Germania (284.200 pari al 15,2%); seguono portoghesi (12,7%), francesi (5,6%), serbi (5,3%), turchi (3,8%), spagnoli (3,7)% e austriaci (2,1%). Tra i cittadini non europei prevalgono gli asiatici (6,3%), seguono africani e americani (4,2%). A questi numeri, che sono stati agitati per preparare una campagna ultranazionalista e xenofoba, vanno aggiunti i 277 mila frontalieri che vanno a lavorare in Svizzera facendo avanti e indietro: tra questi ci sono circa 65 mila pendolari italiani.
L’antipatia per il gruppo “etnico” nostrano, lavoratori lombardi e piemontesi in prevalenza, ha molto influito sul clamoroso esito del referendum: il record del consenso si è ottenuto nel Canton Ticino con il 68% che ha detto “sì” al numero chiuso, un’affermazione netta che chiede con forza che le assunzioni dei lavoratori vengano fatte dando la precedenza ai cittadini elvetici, e che solo in mancanza di mano d’opera autoctona si possa dar lavoro agli stranieri. Un risultato sorprendente anche perché fa a pugni con la realtà, in Svizzera infatti la disoccupazione è molto contenuta. Il voto di domenica ha di fatto spaccato la Confederazione, poiché il “no” ha prevalso in tutte le regioni di lingua francese (un’altra differenza netta spicca nel confronto tra le città e la campagna, hanno votato contro Zurigo, Ginevra e Basilea).
Le conseguenze di questa votazione saranno pesanti perché il referendum impegna il governo svizzero a rinegoziare entro tre anni tutti i trattati internazionali sulla circolazione degli stranieri in vigore dal 2002, e probabilmente a modificare la legislazione vigente che regola i cinque tipi di permessi per lavorare in Svizzera (permesso di soggiorno di breve durata, permesso di dimora, permesso per i frontalieri, permesso di domicilio e permesso per i familiari di Ong). Ma in gioco c’è ben altro.
Bruxelles, infatti, ha già minacciato che a questo punto potrebbe essere rivisto l’intero insieme delle relazioni euro-svizzere, compreso il negoziato sullo scambio di informazioni in ambito bancario. Inoltre, qualora diventasse carta straccia il trattato sulla libera circolazione delle persone, andrebbe rivista tutta una serie di norme di reciprocità relative al diritto di ingresso e di soggiorno, di accesso a una attività economica, di residenza e previdenza sociale; per non parlare di tutte le intese bilaterali sul libero commercio, sull’agricoltura, sugli appalti pubblici, sul trasporto aereo e su rotaia, sui controlli veterinari. Insomma, si tratta di un vero e proprio terremoto nel cuore dell’Europa che costringe Berna a riaprire negoziati su più fronti laddove è quasi sempre la Ue che può fare la voce grossa. “Sono da valutare eventuali conseguenze sui rapporti fiscali”, ha minacciato la ministro degli Esteri Emma Bonino.
Sul versante occupazionale è presto per dire quali saranno le conseguenze. Ma già circolano le prime cifre: secondo gli economisti del Credit Suisse, il probabile rallentamento degli investimenti dovuto al clima di incertezza potrebbe far saltare circa 80 mila posti di lavoro in tre anni. Nell’immediato, invece, c’è chi teme per i contratti a termine degli italiani che oltrepassano il confine: “Il referendum potrebbe bloccare le nuove assunzioni e mettere a rischio i contratti a termine”, si legge in una nota diffusa dai frontalieri piemontesi del Verbano-Ossola.
Sconcerto e preoccupazione prevalgono nei commenti delle forze politiche e sindacali, fatta eccezione per la Lega che da una parte dice che farà di tutto per difendere i frontalieri e dall’altra si complimenta con gli svizzeri augurandosi un analogo referendum anti immigrazione a sud della Alpi. Sofismi schizofrenici da campagna elettorale così riassunti dal governatore Lombardo Roberto Maroni: “Vorrei che una simile iniziativa si facesse anche da noi perché chi governa deve fare i conti con la realtà che cambia, tuttavia quello della libera circolazione delle persone è un principio di civiltà acquisito da cui non si può tornare indietro”. E’ confuso, ma non deve essere abituato a sentirsi dare del “terrone” da qualcun altro.
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