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Con Shepard Fairey la street art al Pan

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Mostre Novanta opere di Obey in mostra a Napoli. «Ciò che faccio - spiega - è inviare uno stimolo e rispondere con un nuovo stimolo in base alla reazione avuta»

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 10 dicembre 2014

«È un dialogo costante con l’osservatore. Ciò che faccio è inviare uno stimolo e rispondere con un nuovo stimolo in base alla reazione ricevuta». Shepard Fairey, in arte Obey, è lo street artist che ha lanciato la campagna per l’elezione di Barak Obama fornendo l’immagine che è diventata un’icona pop: il volto del futuro presidente elaborato nella bicromia del rosso e blu, simboli della bandiera statunitense, ma con tonalità differenti. Nella serie Hope il volto di Obama è in primo piano, sullo sfondo la casa Bianca ma anche il viso di Angela Davis riprodotto come su una tappezzeria e, in basso, le moltitudini che nel 2008 riempivano le piazze nel mondo.
Le serie Change, Vote e Progress richiamavano i temi politici della campagna elettorale: la collaborazione non venne mai ufficializzata ma il presidente lo ringraziò pubblicamente in una lettera. Al Pan di Napoli la mostra # Obey (fino al 28 febbraio), curata da Massimo Sgroi per l’associazione Password, la prima in un museo europeo, ripercorre il lavoro di Fairey in 90 opere a partire dagli esordi nel 1989.

Tutto comincia alla fine degli anni ’80 quando, studente al Rhode Island School of Design alle prese con la decorazione di skate board e magliette, inizia a riempire le strade con gli sticker della serie André the Giant Has a Posse: la grafica non è ancora elaborazione al computer, di là da venire, ma cita piuttosto le riviste popolari in vendita nei supermercati, i riferimenti teorici Martin Heidegger («il linguaggio è la casa dell’essere») riletto dalla prospettiva di Marshall McLuhan. L’eroe dei primi combattimenti di wrestling inizia a comunicare al mondo delle periferie urbane, nelle altre città spuntano rielaborazioni della serie di Fairey e così si mette in moto un dialogo che mutua i codici del mercato della comunicazione. La faccia di Andrè the Giant spunta dalle stelle gialle in campo rosso della rivoluzione comunista, in forma di logo con lo slogan «Obey» timbra in basso il poster con il volto di Malcom X, ancora in forma di logo si sovrappone ai volti di Stalin, Lenin e Mao, si fonde persino nei lineamenti di Marilyn Monroe nella versione di Andy Warhol.

È la cultura pop che ingurgita tutto: la grafica russa della propaganda comunista, lo stile arabo e orientale portato dai migranti in perenne oscillazione tra conflitto e assimilazione, persino i simboli zapatisti diventato grafica popolare. Il gioco dei rimandi rende comprensibile la comunicazione anche quando il messaggio è distrurbante: il volto sorridente dell’agente wasp indica lo spettatore come fosse zio Sam, in mano ha un manganello, la scritta spiega «ti prendo a calci in culo e resto impunito». Oppure la cartolina Greetings from Iraq: petrolio, cammelli, esplosioni e la scritta «Goditi una vacanza economica nell’infelicità di un altro popolo». Il contenuto vale quanto il vettore: la serie delle banconote ha i volti dei divi del film de Il padrino. Elabora una campagna anti George W. Bush con il viso sorridente del presidente e la scritta «One hell of a leader» giocando sull’ironia del senso letterale e quello gergale.

È tra i cofondatori di uno studio di grafica specializzato in guerrilla marketing (ridisegna il logo del browser web Mozilla), nel 2009 viene arrestato a Boston per i suoi graffiti mentre raggiungeva l’Institute of Contemporary Art per l’inaugurazione della sua mostra. Lo stesso anno a Venezia realizza dei lavori su grandi pannelli di legno dove i richiami alla arte della città si fondono con il suo linguaggio. Codici, marketing, campagne elettorali presidenziali, la street art entra con Fairey nei luoghi istituzionali, e viene anche accusato di sfruttare cinicamente lotte e temi politici per il profitto personale. Quando gli chiedono del suo attivismo e dell’arte come fenomeno virale risponde: «Ora le persone possono entrare in contatto molto più facilmente attraverso i social media. Le persone che sono motivate possono fare in modo che accadano delle cose rapidamente quanto una multinazionale».

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