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Civati: «Con Renzi non si può andare. Il nostro faro è il no al Jobs act»

Civati: «Con Renzi non si può andare. Il nostro faro è il no al Jobs act»

Intervista a Pippo Civati Possibile parteciperà domani a Bologna all’iniziativa «Costruire l’alternativa».

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 17 dicembre 2016

Aspetta che la «nebbia in valpadana» si diradi e intanto, da buon lombardo. sa che si deve andare avanti piano usando i fari adatti: per lui nell’attuale nebbiosità politica a sinistra il faro da seguire è il Sì al referendum sul Jobs act, ovvero ai tre quesiti che attendono il verdetto di ammissibilità della Corte costituzionale il prossimo 11 gennaio, proposti dalla Cgil e sottoscritti da 3 milioni di elettori. Pippo Civati, dopo aver partecipato con la sua associazione Possibile a favore del No al referendum costituzionale, adesso, insieme ad altri tre deputati fuoriusciti con lui dal Pd nel 2015 e altri transfughi dal Movimento Cinque Stelle fa parte del raggruppamento «Alternativa libera» nel gruppo misto della Camera e si occupa a tempo pieno delle tematiche del lavoro. E Possibile parteciperà domani a Bologna all’iniziativa «Costruire l’alternativa».

Civati, il nuovo premier Gentiloni da Bruxelles ieri ha tagliato corto sulle possibilità che altri del suo partito avevano messo in campo di mettere mano al Jobs act in Parlamento. Dice che non ha «nessunissima intenzione» di toccarlo, che è uno dei successi del governo Renzi.

Questo è il punto, anche rispetto al dibattito su un nuovo equilibrio per far rinascere il centrosinistra proposto da Pisapia e Boldrini. È uno schema speculare a quello del Pd e lo so bene io che l’ho sofferto decidendo alla fine di uscirne. Non si può continuare a ragionare in astratto o su un’idea di alleanze senza confrontarsi con le scelte politiche, a partire da quelle sul Jobs act, l’articolo 18 e i voucher, che sono la linea di demarcazione superata la quale si è rotto nei fatti il centrosinistra, perché su questi temi c’è già stato una specie di referendum in Parlamento, alcuni esponenti del Pd come Damiano e Epifani erano contrari e poi hanno votato a favore. Fummo solo in due nel Pd a votare contro il Jobs act, altri non parteciparono al voto ma in tutto non più di una trentina.

Renzi subito dopo il voto aveva detto di voler imparare dagli sbagli fatti nei tre anni ma Poletti ora vuole solo evitare i referendum sociali. In mezzo ci sarà comunque il congresso Pd, sarà sul Jobs act?

Intanto bisogna vedere se il congresso ci sarà davvero o come sembra ci saranno solo le primarie tra i leader, se così fosse sarebbe la rottura oppure una coesistenza assolutamente assurda dell’ala più di sinistra, quella per intenderci di Speranza e Bersani, in una posizione di totale marginalità. Diciamo che più Renzi ha fretta e più il Pd si spacca. Quanto a Gentiloni e Poletti, è chiaro che l’impianto del governo non cambia: non è cambiata neanche la compagine dell’esecutivo. Non c’è stata nessuna assunzione di responsabilità.

Anche eliminando il Jobs act, resterebbe un art. 18 già depotenziato dalla Fornero e i voucher con un massimale d’impiego solo più basso. Poi ci sono i nuovi lavori su piattaforma, come i bikers di Foodora. Ci sarebbe bisogno in ogni caso di una nuova legge, con quale approccio?

Sì, una situazione simile a quella dopo il referendum costituzionale ma il voto darebbe la direzione, credo una completa inversione di marcia rispetto alla scelta del Pd di Renzi di voler tagliare anche l’ultima garanzia che c’era per la tutela del lavoro. I voucher devono tornare a essere usati solo per prestazioni del tutto occasionali. Poi sui cosiddetti «lavori umili» credo che, dove non c’è un contratto, debba essere introdotto un salario minimo orario, naturalmente non inferiore a quello contrattuale.

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