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Con «L’idiota» di Mieczyslaw Weinberg Salisburgo scopre un capolavoro

Con «L’idiota» di Mieczyslaw Weinberg Salisburgo scopre un capolavoro«L’idiota» a Salisburgo – foto di Bernd Uhlig

Opera Prosegue la riscoperta del compositore polacco-sovietico, con la regia di Krzysztof Warlikowski. La compresenza nel 2024 nei cartelloni russi e austriaci accende una speranza

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 24 agosto 2024
Andrea PennaSALISBURGO

Dopo decenni di silenzio il mondo musicale ha finalmente iniziato a accorgersi di Mieczyslaw Weinberg, delle opere liriche, dei concerti e delle sinfonie del compositore polacco-sovietico, la cui stessa vita – la fuga dall’invasione nazista della Polonia, i primi successi e le persecuzioni nell’Unione Sovietica di Stalin, le successive difficoltà, l’oblio e i riconoscimenti tardivi – non sfigurerebbe nella trama di dramma musicale che attraversa i momenti più terribili del Novecento europeo. Le recite che dal 2 al 23 agosto hanno portato per la prima volta l’Idiota di Weinberg al festival di Salisburgo hanno mostrato le qualità dell’opera che meriterebbe una sua presenza nel repertorio corrente, come sta avvenendo con La passeggera (Passazhirka) a partire dall’eclatante riscoperta sulle scene di Bregenz nel 2010.

TRA GLI ARTEFICI della rivalutazione di Weinberg ci sono Gidon Kremer – il primo campione dei suoi lavori da camera, che non cessa di rammaricarsi per aver scoperto tardi – e Mirga Grazynite-Tyla, che dopo il successo della Passeggera a Madrid ha guidato con nitida cura del dettaglio e passione la produzione salisburghese, sorretta anche dalla regia di formidabile intensità di Krzysztof Warlikowski. Con la felicissima messa in scena del Giocatore di Prokof’ev affidata a Peter Sellars sono due le opere tratte da Dostoevskij proposte con una certa audacia quest’anno a Salisburgo. Del resto proprio la compresenza nel 2024 dell’Idiota di Weinberg sulle scene russe – era in cartellone a Mosca di nuovo in febbraio – e nel festival austriaco accende una tenue fiammella di speranza nella vita culturale europea, dilaniata dalle ripercussioni dell’invasione russa in Ucraina.

Nella struttura musicale organizzata nei quattro atti e sette scene del libretto, Weinberg e il suo librettista Alexander Medvedev riescono nell’ardua impresa di restituire organicamente non solo la complessità ossessiva del viluppo di amore e morte fra Nastas’ja Filippovna, Parfion Rogozin, Aglàja Epancina e la sua famiglia, che vede al centro il principe Myskin, l’Idiota, quanto nel rendere con stupefacente vitalità i sentimenti che le pagine di Dostoevskij scatenano nel lettore. Intessuta di un fitto vocabolario segreto di citazioni e motivi ricorrenti, l’opera è improntata allo stile di conversazione dell’opera russa, che si torce, s’increspa, si deforma e si accende ora nelle montanti, aspre dissonanze scatenate nelle masse orchestrali per lasciar filtrare appena dopo liriche reminiscenze di un linguaggio tardoromantico sovente presente in filigrana.

Uno stile personalissimo, quello di Weinberg, che certo guarda a Proko’fev e a Sostakovic, coetaneo, mentore e amico del compositore esule, ma anche alla tradizione tardoromantica tedesca, alla scuola di Vienna e alla tradizione dell’opera russa. Su tutti domina il protagonista, il principe Myskin, ruolo tenorile improbo che Bogdan Volkov affronta febbrilmente, con una finezza e un’energia sbalorditive. La scena dell’attacco epilettico resta impressa nella memoria, così come l’aria del sogno nel terzo atto. Spiccano poi Ausrine Stundyte, già indimenticata Elektra sempre alla Fensenreitschue con Warlikowski, ora Nastas’ja volubile quanto disperata, l’orgogliosa Aglàja di Xenia Puskarz Thomas, il Rogozin violento e cupo di Vladimir Sulimsky. Tutta la distribuzione è vocalmente perfetta e Warlikowski la muove sulla scena con una varietà e verità di gesti e accenti che nei momenti migliori si fondono in un tutt’uno con la musica. Il successo indiscusso che premia l’opera ne è la prima dimostrazione.

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