«Con il selvatico è meglio convivere»
Intervista Lo zoologo Filippo Zibordi, autore del libro «L’uomo e l’orso possono convivere?». La risposta (difficile) riguarda il futuro della biodiversità
Intervista Lo zoologo Filippo Zibordi, autore del libro «L’uomo e l’orso possono convivere?». La risposta (difficile) riguarda il futuro della biodiversità
Imbattersi in un orso, le pecore sbranate da un lupo, il pollaio visitato da una volpe, l’allevamento di trote saccheggiato dalle lontre… Il selvatico che nonostante tutto resiste e interferisce con la civiltà umana. Anche ai tempi dell’ipertecnologico. Far conoscere gli animali per quello che sono e non per come, nel bene e nel male, li percepiamo è uno degli obiettivi dello zoologo e divulgatore Filippo Zibordi, che per più di 25 anni ha inseguito piccoli e grandi carnivori sulle Alpi, animali unici per il ruolo che svolgono nelle reti ecologiche e il posto che occupano nel nostro immaginario. L’uomo e l’orso possono convivere? edito da Dedalo, è un libro da lui scritto che studia e si interroga sui cammini inevitabilmente intrecciati di questi animali e degli umani.
Partiamo dalla domanda che dà il titolo: da appassionato e profondo conoscitore, che risposta da e perché?
Non esiste una risposta semplice alla domanda L’uomo e l’orso possono convivere? Perché se, da una parte, numerosi studi ci confermano che le Alpi sono tornate ad essere un territorio idoneo all’orso dal punto di vista ambientale, dall’altra parte la convivenza si costruisce anche e soprattutto sulla dimensione umana, ossia sull’attitudine delle comunità locali nei confronti dell’orso, che a sua volta dipende da quanto le istituzioni sono in grado di mettere in campo sotto il profilo gestionale. La coesistenza, in altre parole, va cercata negli spazi comuni, in un equilibrio che per sua natura non può che essere dinamico e mutevole. Il destino dell’orso sulle Alpi resta oggi invece sospeso tra chi antepone la sopravvivenza di ogni singolo esemplare alla salvaguardia di una popolazione e chi ritiene inaccettabile che si possa entrare in un bosco sentendosi ospiti e non padroni assoluti, condividendo lo spazio con possibilità che sono fuori dal nostro totale controllo e che quindi pongono dei rischi.
Il libro parla di nove specie di carnivori, quelle che ha studiato sul campo in anni di ricerca: ermellino, martora, tasso, volpe, lontra, sciacallo dorato, lince, e poi lupo ed orso: quali aspetti accomunano questi animali così diversi, in particolare nella relazione con gli umani?
Con il termine Carnivora, carnivori, la classificazione degli esseri viventi fa riferimento ad un gruppo di animali mammiferi accomunati dalla capacità di predare e di cibarsi di carne, come testimoniato in particolare dalla dentatura specializzata. In realtà, questo ordine animale comprende però specie molto diverse le une dalle altre per dimensioni, comportamenti e, curiosamente, anche per le abitudini alimentari. Un aspetto tuttavia accomuna tutti i membri di questo gruppo che abitano le Alpi: la forte persecuzione subita da parte dell’uomo sulle nostre montagne nei secoli scorsi, imputabile ai conflitti veri o presunti che le specie ponevano alla nostra «conquista» di nuovi spazi di vita. Oggi fortunatamente abbiamo una consapevolezza che i nostri avi non potevano avere relativamente a quel che la biodiversità rappresenta, e quindi perché dobbiamo tutelare ogni specie vivente, e anche maggiori strumenti e tecnologie per rendere la convivenza con il selvatico, anche con i predatori, possibile.
Questi animali sono uno spunto per trattare tematiche come il cambiamento climatico, le specie invasive, l’inquinamento: facciamo qualche esempio.
Sì, nel libro «sfrutto» eventi autobiografici, accaduti durante le ricerche su campo a cui ho partecipato sulle Alpi ma anche nel corso di incontri fortuiti e fugaci, come spunto per parlare delle sfide urgenti che stiamo affrontando nella lotta contro la perdita della biodiversità: la speranza – un obiettivo decisamente elevato! – è che l’esperienza di lettura non solo appassioni e ispiri, ma possa diventare un prezioso contributo a questa causa. Ecco quindi che l’ermellino, con la sua pelliccia che diviene completamente bianca in inverno, ci fa riflettere su cosa ne sarà, di questa sentinella delle alte quote, ora che la neve scarseggia. D’altra parte, per parlare anche di cose positive, il lento ritorno spontaneo della lontra in alcuni corsi d’acqua del nostro Paese è testimonianza del miglioramento degli ambienti fluviali negli ultimi 50 anni, grazie alle norme che oggi rendono le acque più pulite e i flussi più costanti lungo l’arco dell’anno. Ecco, l’intento è di appassionare il lettore con racconti e curiosità sulle nove specie protagoniste del libro, ma di usare questo interesse anche per parlare di tematiche più ampie, che ci riguardano tutti da vicino.
Negli ultimi anni l’impressione è quella di una maggiore presenza del selvatico, spontaneo o frutto di reintroduzioni: si parla di lupo e orso ma non di altri due animali importantissimi come la lince o la lontra: c’è il rischio che entrino in conflitto con la presenza dell’essere umano?
Il rischio del conflitto c’è, ma non solo o non tanto per ciò che queste specie potrebbero causare quanto per la percezione che queste specie portano con sé. Viviamo in un mondo in cui i dati reali (la reale quantità di selvatici predati dalle linci in un territorio, oppure i chili di pesci sottratti dalle lontre) sono meno importanti della percezione che la collettività ha dei fenomeni. È la famosa «post-verità», a cui nemmeno gli animali sfuggono: essi vengono percepiti e accettati o meno sulla base di emozioni e sensazioni, senza alcuna analisi concreta della effettiva veridicità dei fatti. Nel mio piccolo, L’uomo e l’orso possono convivere? è un tentativo di fornire informazioni e dati basati sulla scienza.
E’ ormai fissa la presenza di una specie inedita, lo sciacallo dorato: che cosa è successo?
La storia dello sciacallo è una storia diversa da quella di tutte le altre specie di cui parlo nel mio libro, perché lo sciacallo da noi, in Italia, non c’è mai stato. Ma, a differenza delle specie alloctone, ossia introdotte più o meno accidentalmente dall’uomo, lo sciacallo è arrivato nel nostro Paese spontaneamente, con ogni probabilità grazie alla temporanea assenza del lupo dai Balcani. Secondo le ultime stime, gli sciacalli presenti in Italia sono ormai più di quattrocento, suddivisi in circa 40 gruppi riproduttivi territoriali: il Parco Nazionale del Circeo è il limite meridionale della loro espansione in Italia, raggiunto dopo un salto senza precedenti nel 2020.
In conclusione, siamo in grado in Italia di accettare la sfida della convivenza?
Non lo so. E penso che non la sappia nessuno. Sono però convinto che, se non sapremo trovare una via per convivere con il selvatico, finiremo per perdere la sfida per la conservazione della biodiversità.
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