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Con Biden tempi duri per gli Antipatici

Con Biden tempi duri per gli Antipatici

Un'altra storia Dopo il ritiro di Trump, seguito dai russi, dal trattato Inf (controllo delle forze nucleari a medio raggio), lo Start era l'ultimo grande accordo di disarmo rimasto in piedi e che rischiava di naufragare. Ma per essere credibile sulla questione diritti umani con Russia e Cina, e agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, Biden ha bisogno di fare qualche cosa di serio con i sauditi

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 29 gennaio 2021

Tempi duri per gli Antipatici e buone notizie, una volta tanto, nel sanguinoso gioco della politica estera e dei diritti umani. Che riguarda tutti noi e persino, come lo chiamava ieri sul manifesto Tommaso Di Francesco, il nostro “sussidiato speciale” (dai sauditi) Matteo Renzi. Biden ha congelato “temporaneamente” la vendita di armi e munizioni all’Arabia saudita e di caccia F35 agli Emirati, una componente del Patto di Abramo tra le monarchie del Golfo e Israele che aveva già preoccupato il premier Netanyahu, inquieto per l’integrità della “supremazia qualitativa” dell’apparato bellico ebraico in Medio Oriente.

Ma se la notizia – che limita le forniture belliche Usa a fallimentari protagonisti delle guerre per procura in Yemen e Libia – è davvero buona lo capiremo quando Avril Haines, direttrice dell’intelligence, declassificherà, come ha annunciato, una nota segreta della Cia sull’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi. Secondo la Cia l’ordine di farlo a pezzi facendo scomparire il cadavere, nell’ottobre 2018 a Istanbul, sarebbe arrivato direttamente dal principe ereditario Mohammed bin Salman.

Qual è il significato di questa decisione di Biden, che in campagna elettorale aveva mostrato scarsa simpatia verso Riad? Il più evidente è che vuole prendere le distanze dal sostegno di Trump alla criminale guerra saudita in Yemen. Riad era stata la prima meta all’estero dell’ex presidente e due settimane dopo la vittoria di Biden un vertice aveva riunito nel regno il principe Mohamed bin Salman, Netanyahu e il capo della diplomazia di Trump, Mike Pompeo. All’ordine del giorno c’era l’intenzione di Biden di rinegoziare con Teheran l’accordo del 2015 sul nucleare di Obama cancellato tre anni dopo da Trump.

Uno spauracchio delle monarchie petrolifere e di Israele, in parte allontanato dal segretario di stato Antony Blinken: “Ci vorrà tempo con l’Iran e serviranno consultazioni con gli alleati”, ha detto Blinken. Mentre gli Usa continuano a congelare i depositi iraniani all’estero – decine di miliardi di dollari – che servirebbero a comprare i vaccini anti-Covid: il “doppio standard” mediorientale, come si vede, non ci abbandona mai.

Ma la mossa più importante sarà proprio la divulgazione del documenti della Cia sul principe saudita. Questa è la chiave della campagna sui diritti umani e politici che Biden ha già lanciato contro la Russia e la Cina, sia direttamente nella telefonata con Putin che con le dichiarazioni di Blinken contro Pechino. Tanto è vero che il clamore per il caso Navalny sui media ha largamente superato il risultato più concreto del colloquio: l’intesa tra Biden e Putin per rinnovare l’accordo Start, che fissa i limiti alle testate nucleari, in scadenza il 5 febbraio.

Dopo il ritiro di Trump, seguito dai russi, dal trattato Inf (controllo delle forze nucleari a medio raggio), lo Start era l’ultimo grande accordo di disarmo rimasto in piedi e che rischiava di naufragare. Ma per essere credibile sulla questione diritti umani con Russia e Cina, e agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, Biden ha bisogno di fare qualche cosa di serio con i sauditi, i maggior clienti di armi e i più antichi (dal 1945) e detestabili alleati mediorientali degli Usa che un giorno potrebbero entrare nel Patto di Abramo.

Le conseguenze della pubblicazione sulle responsabilità del principe Mohammed bin Salman nell’assassinio Khashoggi sarebbero enormi. Finora l’ambiguità di Trump aveva favorito il principe, reintegrato nella vita internazionale dopo un periodo di freddezza, per altro assai breve. Non dimentichiamo che Susan Rice, ex consigliere di Obama e ora dell’amministrazione Biden, dalle pagine del New York Times aveva chiesto di privare Mohamed bin Salman (MBS) della carica di principe ereditario e dunque di futuro monarca saudita.

Tutti vogliono fare affari con i sauditi ma non con “questi” sauditi, se diventano di pubblico dominio le accuse della Cia. E’ curioso che proprio Renzi, accreditato come filo-Biden e che ha aperto la crisi di governo italiana in coincidenza con la sua ascesa alla Casa Bianca, abbia partecipato in questi giorni alla conferenza dal fondo sovrano saudita, il Saudi public investment Fund (Pif) guidato proprio da Mohammed bin Salman, colui che oltre a essere l’assassino di Khashoggi ha diretto lo sterminio dei civili in Yemen ed è coinvolto nelle persecuzioni di donne e oppositori del sistema assolutista saudita.

Per i media italiani Renzi avrebbe l’ambizione, non si sa quanto fondata, di diventare segretario Nato. Può essere una via di uscita per un politico che in patria solleva antipatie paragonabili a quelle suscitate un tempo da D’Alema e prima ancora da Craxi. Ogni stagione politica ha il suo Antipatico. Anche se tutto questo ha un’importanza relativa su una costante storica: i vincoli sulla nostra politica estera e la sovranità limitata della repubblica. Le coincidenze da noi non sono mai del tutto casuali.

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