Per dare il via libera al primo governo Bersani, il Pdl ha in fondo una sola, grande, impossibile richiesta. Il Quirinale. Esattamente come sette anni fa ha in testa il nome di un uomo che viene dalla sinistra ma che dalla sinistra ex comunista è sempre stato considerato un estraneo. C’è Giuliano Amato nell’identikit che Angelino Alfano ha consegnato ieri sera a Porta a Porta.

Quando il segretario del Popolo della libertà ha detto «siamo disponibili a fare in modo che nasca un governo capitanato da Bersani» ma ha aggiunto «vogliamo che sia dato un riconoscimento al Quirinale alla nostra storia culturale trentennale» non poteva certo riferirsi alla storia del Pdl, che di anni ne ha appena quattro. E nemmeno alla «storia culturale» di Forza Italia, che al massimo arriva a venti. Ma, com’è in fondo giusto, pensava al percorso politico di Silvio Berlusconi che ha la sua origine nel rapporto con Bettino Craxi. Trent’anni fa giusti giusti, sarà un caso, vedeva la luce il primo governo guidato dal segretario socialista. Sottosegretario alla presidenza del Consiglio era il più stretto e ascoltato consigliere di Craxi, Giuliano Amato.

La trattativa per il Quirinale è tutt’altro che «un tema ultroneo» come ha cercato di spiegare ieri Pier Luigi Bersani. Il centrodestra terrorizzato dal rischio di trovarsi per la seconda volta con un presidente considerato avversario (nel 1999 Forza Italia votò Ciampi che fu eletto al primo scrutinio, mentre a Napolitano che raccolse solo i voti del centrosinistra occorse il quarto scrutinio) mette la trattativa per il Quirinale in testa a ogni discorso sul governo. Al contrario dal Pd arriva ogni giorno la precisazione che «per il Quirinale non si fanno scambi».

Ma ieri, con più forza, prima dal vicesegretario Enrico Letta poi direttamente da Bersani, è arrivata la precisazione che il Pd intende trattare. «Per noi le istituzioni sono un valore di tutti», ha detto Letta. Aggiungendo che i democratici hanno «la volontà di cercare il più ampio consenso». E così Bersani: «Siamo disponibili a ragionare».

È una trattativa che il Pd pensa di poter fare con il coltello dalla parte del manico, avendo dalla sua (con Sel e i rappresentanti regionali) i voti sufficienti ad eleggere da solo il nuovo capo dello Stato dal terzo scrutinio, quando è sufficiente la maggioranza assoluta dei 1007 aventi diritto. Ma a Bersani non sfugge certo che nel caso dovesse davvero riuscire a far partire il suo governo, avendo già conquistato le presidenze di senato e camera, non potrebbe procedere unilateralmente per la scelta del successore di Napolitano. Dunque in qualche modo anche il Pd è costretto alla trattativa. E nella trattativa entra anche lo scambio con il via libera al governo.

Escluso categoricamente Amato, dal Pd sono arrivati segnali al Pdl perché converga su una personalità moderata, che in questo paese è sinonimo di cattolica. In virtù anche della regola non scritta che prevede l’alternanza di «rossi» e «bianchi» tra palazzo Chigi e il Quirinale. Marini o Dini sono due nomi che troverebbero qualche ascolto in casa Berlusconi.

Assai importanti sono anche i tempi con i quali le camere in seduta comune procederanno alle votazioni. In teoria ogni giorno dopo il 15 aprile (un mese prima della scadenza di Napolitano) è un giorno utile per le convocazioni. Se ci fosse un accordo e dunque fosse possibile immaginare un’elezione rapida, la prima settimana che termina il 21 aprile potrebbe anche bastare. Altrimenti è difficile che si accelerino i tempi, visto che il 25 aprile sono previste cerimonie con il capo dello stato. I consigli regionali, anche quello del Friuli che sarà rinnovato il 21 aprile, assicurano che entro il 15 aprile avranno scelto i loro tre rappresentanti. Se il nuovo capo dello stato dovesse essere eletto dopo la prima settimana di maggio, però, non ci sarebbero più i tempi per le elezioni a giugno.