ExtraTerrestre

Con Alberto Rollo la montagna si riempie di grandi scrittori

Ha un tono memoriale e un passo classico Il grande cielo (Ponte alle grazie, 2023) di Alberto Rollo, un libro che intreccia autobiografia, storia sociale ed esperienza intorno all’avventura della […]

Pubblicato più di un anno faEdizione del 29 giugno 2023

Ha un tono memoriale e un passo classico Il grande cielo (Ponte alle grazie, 2023) di Alberto Rollo, un libro che intreccia autobiografia, storia sociale ed esperienza intorno all’avventura della montagna. L’autore, un uomo di libri (scrittore e editor tra i più autorevoli), è più un camminatore walseriano che un alpinista – un uomo «a metà strada tra il soldato e il mistico» come l’amato Walter Bonatti, intrepido scalatore del Dru, Gran Capucin o del Cervino – non ama neanche i runner, che anzi lo infastidiscono, ha la purezza dilettantesca e il sentimento dell’escursionista sentimentale che si misura più con le lente sfide interiori e dell’immaginazione che con quelle agonistiche dei tempi velocissimi della Società dello Spettacolo.

C’E’ UN’UMILTÀ, QUALCOSA di antico e di puro in certi uomini della montagna che non sembra di questo tempo dove i più si misurano con l’agone dell’apparire e dell’io verticale, invece che con quello orizzontale della solitudine pensosa e dello scomparire nel folto ombroso e perturbante dei boschi. Con una scrittura nitida, riccamente espressiva, tra memoir, reportage di viaggio e afflato saggistico, Rollo ci fa conoscere il suo mondo di relazioni e quello interiore, e ci guida servendosi anche dei suoi narratori, Erri De Luca, Paolo Cognetti, Franco Brevini «l’imperatore della Val d’Aosta», il barbarico Mauro Corona dai «legni tormentati», Paolo Rumiz che «cammina come un monaco, come un alpino, come un soldato, come un esploratore, come un reporter, come uno storico», che incontra dentro i loro diversi genius loci. Lì i solchi letterari e quelli alpinistici s’incrociano, perché come scrive «quello che i libri contengono, hanno qualcosa degli ometti di pietra che segnano il percorso in quota», e Rollo li porta dentro la prospettiva di questo libro fatto di piccoli episodi conchiusi che bastano a sé stessi.

COSÌ COME RIVERBERANO tra queste pagine anche le gesta di una interiorizzata letteratura della memoria: Rigoni Stern, Jack London, Thoreau, il Rimbaud delle Suole di vento, le pagine di Buzzati sulla montagna. Ovviamente è anche un libro fatto di molte geografie, di percorsi, di passi, valichi, dalle prime Alpi dell’infanzia alle Cime Bianche in Val d’Ayas, «il respiro ampio della Val Gardena», Cogne, la Val Senales, la «Valtellina dei sanatori dismessi» come la «Val di fumo come un Colorado domestico», passeggiati e raccontati.

LÀ DOVE RESTA LA MEMORIA degli incontri e l’aneddotica degli amici, i compagni di strada, e dei riti di passaggio, quella dell’amore con Ro, sua moglie Rosaria, quella del figlio che diventa padre e accompagna sua figlia Elena «al palpitare di un affetto, a luoghi che chiedono, come fossero essi stessi immateriata preghiera, di essere preservati», come l’ultima telefonata ricevuta da Tabucchi che «stava cominciando a morire» sull’ultimo tratto erto verso il Palon di Rèsy. E non poteva mancare l’epica e il ritratto commovente di Billy, il cane bastardino «ottimo e baldanzoso compagno», avviato alla «eternità letteraria» da Stefano Benni, in viaggio dentro uno zaino lungo la ferrata che portava al ghiacciaio della Rossa sotto il Monte Cervandone che, come il Buck di London, alla fine «aveva trovato pace, solo, nella notte».

LA MONTAGNA DIVENTA anche il luogo di una educazione sentimentale e di un ondivago romanzo di formazione, ma anche quello dove addomesticare i sensi e le paure, «educare il passo» del camminatore veloce e orientarsi, oppure perdersi, misurarsi con la natura «indocile, irriducibile. Pietosa magari, ma non remissiva».

ANCHE SE IL VERO MANDANTE di questo libro è «Cesarino», il padre operaio metalmeccanico dell’autore, «comunista e atleta», che lo portava da Milano sui tornanti «con il suo Guzzi rosso fuoco, dove, oltre le Prealpi diretti a nord, si riconosceva con cristallina nettezza la linea sinusoidale di impettite cime», il posto delle fragole che per tutta la vita gli ha fatto «immaginare la difficoltà, la fatica, il mistero». Quell’abisso vertiginoso dove ragazzino faceva «esperienza del vuoto».

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