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Comunità energetiche per superare il carbone

Il fatto della settimana La produzione diffusa di energie rinnovabili e l’autoconsumo potrebbero essere adottati da un milione e mezzo di edifici entro il 2025. Vi spieghiamo in che modo

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 7 gennaio 2021

Un milione di utenze residenziali entro il 2025 potrebbero essere coinvolte nella rivoluzione delle comunità energetiche, oltre a 150-300 mila utenze non residenziali. La stime è contenuta nell’Electricity Market Report del Politecnico di Milano e fa sperare che la produzione di energia rinnovabile ricominci a decollare in Italia, dopo l’ottima partenza di un decina di anni fa e la stasi degli ultimi anni.

Come saranno configurate le forme di produzione diffusa di energia rinnovabile e di autoconsumo dipenderà da come verranno recepite le direttive europee RED II (rinnovabili) e IEM (mercato elettrico). C’è tempo fino a giugno 2021: attualmente è in discussione in Parlamento un disegno di legge delega sulla base del quale il Governo presenterà un decreto legislativo. Parallelamente anche le regioni possono legiferare in materia.

In questa fase è possibile abbozzare alcuni scenari, sulla base della sperimentazione avviata con il Milleproroghe e con il decreto che ha stanziato gli incentivi pari a 100 €/MWh per l’autoconsumo collettivo e 110 €/MWh per le comunità energetiche, che ha avuto in questi giorni il via libera dall’Authority per l’energia. Questi si possono cumulare alle detrazioni fiscali del Superbonus 110% per la riqualificazione energetica degli edifici che prevede tra gli interventi, oltre all’isolamento termico e alla sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale, anche l’installazione sugli edifici di impianti solari fotovoltaici connessi alla rete elettrica, infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici e l’installazione di sistemi di accumulo di energia.

Considerando che, secondo un recente sondaggio Ipsos, solo il 6% degli italiani dichiara di sapere bene cosa sono le energie rinnovabili e che la maggior parte immagina tempi molto lunghi per la loro diffusione, ignorando che la tecnologia è già disponibile a prezzi molto accessibili, per la diffusione delle comunità energetiche sarà determinante il ruolo dei soggetti proponenti, ovvero di chi prende l’iniziativa. Questi potranno essere gli utenti stessi nei casi più semplici di autoconsumo collettivo. Per realizzare invece impianti più complessi e articolati potranno essere i comuni, tramite le Utility, le aziende di servizio pubblico e le Esco (Energy service company), le società private specializzate nel miglioramento dell’efficienza energetica. Lo studio realizzato da Elemens per Legambiente Il contributo delle Comunità Energetiche alla decarbonizzazione descrive i possibili sviluppi delle seguenti categorie di comunità energetiche.

CONDOMINI. Sono la categoria più semplice di auto-consumatore collettivo e includono tutte le tipologie di condominio, sia quelli esclusivamente residenziali sia quelli che comprendono anche negozi, studi, uffici, bar, ristoranti, hotel, purché siano fisicamente nello stesso edificio. Si potranno dotare di un impianto a energie rinnovabili, prevalentemente fotovoltaico (attualmente la potenza massima di ciascun impianto deve essere inferiore a 200 kW) che potrà godere delle agevolazioni previste dal superbonus 110% e degli incentivi. Sarà centrale in questo modello la figura dell’amministratore di condominio che farà da ponte tra i condomini e le Esco che progettano gli impianti. Se vi aderissero il 20-30% dei condomini da qui al 2030, si ipotizza un potenziale di 6-9 GW (dal triplo fino a 4,5 volte la potenza di una centrale termoelettrica come quella di Civitavecchia).

CENTRI COMMERCIALI. Si tratta della tipologia di edifici in cui coesistono supermercati, negozi, uffici, bar, ristoranti, cinema, ecc. che possono condividere l’energia prodotta. Anche in questo caso la potenza non deve eccedere i 200 kW. Poiché si tratterà di un sistema più complesso rispetto al condominio, a fare da proponente saranno prevalentemente le Esco e le Utility. Potenziale: 0,8-1 GW entro il 2030.

VIA DI CITTÀ/ QUARTIERE DI PAESE. Si tratta di un insieme ancora più complesso in cui possono essere presenti case, uffici, edifici pubblici (es. una scuola), negozi, un centro commerciale, che sono legati dal fatto di prelevare l’elettricità dalla medesima cabina secondaria a bassa tensione (cioè l’ultimo snodo della distribuzione di energia che qui viene trasformata da media a bassa tensione). Sono escluse eventuali medie e grandi aziende che utilizzano la media tensione. Ciascun edificio potrà dotarsi di un impianto fotovoltaico (o cedere in comodato l’uso del tetto per realizzarlo) di max 200 kW. Qui si immagina che il ruolo proponente sia dei soggetti pubblici, prevalentemente i Comuni, mentre la gestione deve essere affidata a un soggetto professionale, purché non a scopo di lucro. Potenziale: 1,5-3,5 GW (entro 2030)

DISTRETTO INDUSTRIALE. Il pieno recepimento delle direttive potrebbe ampliare il perimetro delle comunità per andare oltre il limite della cabina secondaria e includere quindi anche aziende più grandi e installare impianti di rinnovabili più potenti, come una turbina eolica da 4MW oppure impianti a biomasse, da accorpare agli impianti fotovoltaici. Questa tipologia si adatterebbe ai distretti industriali o artigianali tipici del tessuto produttivo italiano che possono comprendere al loro interno anche uffici e residenze. I proponenti possono essere Utility ed Esco. Potenziale: 3-5 GW (entro 2030).

AREE AGRICOLE INTERNE. Nel caso di aree agricole a bassa densità di popolazione, il perimetro della comunità energetica potrebbe coincidere con quello del Comune, con vari impianti di produzione di energia rinnovabile dimensionati alle necessità locali. I proponenti possono essere enti pubblici, Esco, Utility oppure privati. Potenziale: 1,5-3,5 GW (entro 2030).
Ora sta al legislatore stabilire perimetri e taglie degli impianti, mentre chi partecipa alle comunità energetiche dovrà decidere di quali configurazioni tecnologiche dotarsi e per fare che cosa. In un condominio ci si può limitare alla pura condivisione dell’energia, oppure alla condivisione digital, con dispositivi di misurazione presso ciascun punto di prelievo (Pod) e sistemi di monitoraggio. Se l’energia prodotta eccede i consumi, ci si può dotare di impianti di stoccaggio dell’energia per condividerla anche di notte, per esempio. Infine, esiste un tipo di configurazione che consente di partecipare al Mercato dei Servizi di Dispacciamento, cioè di contribuire con l’energia rinnovabile al bilanciamento della rete elettrica nazionale, e ridurre gradualmente la dipendenza del sistema dai grandi impianti termoelettrici.

Di certo, la diffusione delle comunità energetiche farà diminuire il costo dell’energia per chi vi partecipa. Non solo per un fatto puramente fisico: produrre e auto-consumare in loco riduce del 7% la dispersione della rete. Ma anche perché le configurazioni per l’autoconsumo devono essere no-profit.

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