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Comuni, la sicurezza nell’urna

Comuni, la sicurezza nell’urna – Tam Tam

Ordine pubblico La ministra Cancellieri: «Carceri indegne di un Paese civile, costruire non basta». E a poche ore dalle amministrative torna nelle città il refrain dell’aumento della criminalità

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 24 maggio 2013

Dopodomani si vota a Roma e in molte altre città. Sembrava che il tema della sicurezza non fosse il cuore della campagna elettorale. Invece è prepotentemente tornato, senza che ce ne fosse il minimo bisogno, al centro delle polemiche tra le forze politiche.

A Milano a ogni fatto di cronaca la destra attacca Pisapia, come se la colpa di qualsiasi incidente, rapina, impazzimento o femminicidio fosse la sua. Ci si rinfaccia reciprocamente l’aumento dei crimini: Alemanno – che sulla sicurezza, e sulla debolezza di Rutelli, vinse nel 2008 – deve ora rispondere a chi nel Pd gli rinfaccia l’aumento dei reati nella Capitale. Errori speculari.Anche nel campo del centro-sinistra si tenta, strumentalmente e colpevolmente, di rincorrere i sentimenti di insicurezza delle persone.

Per fortuna ieri la Guardasigilli Annamaria Cancellieri ha ricordato che «le nostre carceri non sono degne di un paese civile» e che per risolvere il problema non basta costruire nuove celle «ma bisogna ripensare il sistema delle pene, valutando se ci sono spazi per quelle alternative».

Ma nelle città, il fantasma della sicurezza ha visto evocare, a destra come a sinistra (lo ha fatto anche il candidato sindaco a Roma Alfio Marchini), la politica anti-sociale della tolleranza zero di Rudolph Giuliani. Negli scorsi anni i comuni hanno prodotto ordinanze tanto creative quanto illegittime. Hanno proposto e condotto la guerra ai writers, ai senza casa, alle prostitute, ai rom, ai poveri. Si sono lette cose buffe e pericolose allo stesso tempo, come nell’ordinanza che vietava a tre persone di sedere su una panchina contemporaneamente.

Per fortuna la Corte Costituzionale ha smantellato tale architettura illiberale che trasformava il sindaco in uno sceriffo e la polizia municipale nella sua mano armata. La Polizia di Roma Capitale, come oggi si chiama, ha di recente deciso di fare il volto truce contro alcuni ragazzi immigrati che vivono in centri per minori non accompagnati. Il 28 marzo scorso tre ragazzi minori del Bangladesh sono stati portati in quel posto indegno che è il Cie di Ponte Galeria. Nonostante si sia ottenuto per vie legali il loro rilascio, il comune ci ha riprovato. E così il 13 maggio i ragazzi sono stati condotti nuovamente a Ponte Galeria. In questo modo, con la regia di funzionari e vigili, la giunta di Alemanno e qualche suo assessore penserà di prendere una manciata di voti in più, sulla pelle di giovanissimi senza colpe e violando palesemente le norme Onu sui diritti dell’infanzia.

Sarebbe quasi meglio tornare allo Stato centrale borbonico, nel quale non avrebbe spazio una polizia locale armata… Uno Stato centralizzato, dove i vigili tornerebbero a regolamentare il traffico, cosa di cui tanto ci sarebbe bisogno. Oggi, non più ossessionati dal mito federalista-padano, potremmo finalmente mettere la parola fine alle sciocchezze federaliste sulla sicurezza e alle stupidaggini secessioniste. I leghisti auspicavano la creazione di polizie regionali. Fortunatamente non se ne fece nulla. Ma nella Roma di Alemanno la polizia locale è stata usata per fare paura a chi vive nella marginalità e nel bisogno.

Forse, viste anche le necessità di razionalizzazione della spesa, piuttosto che moltiplicare le polizie sarebbe invece arrivato il momento di proporre la grande riforma della pubblica amministrazione italiana: unificare polizia, carabinieri e guardia di finanza. Si risparmierebbero varie centinaia di milioni di euro l’anno e si avrebbe un sistema investigativo più efficace. Quei tre pachidermici corpi, che svolgono più o meno analoghe mansioni, costituiscono un autentico spreco. Uno Stato in crisi, disposto ad ammazzare ogni angolo di welfare per far fronte alla drammaticità dei conti pubblici, non può permettersi tre polizie con compiti sovrapposti. Senza rinunciare a un solo operatore di polizia, si risparmierebbero i costi della triplicazione delle strutture e si razionalizzerebbe l’intervento di prevenzione e controllo territoriale.

A tutto ciò non rimane estraneo il tema del carcere e della campagna per le tre leggi di iniziativa popolare. Ogni intervento sociale inclusivo nelle periferie delle grandi metropoli si traduce infatti anche in probabili utenti in meno nel sistema della giustizia penale e delle carceri italiane. Con un bel risparmio di spesa. Un detenuto costa 130 euro al giorno. Il sostegno sociale a una persona in difficoltà costa tre volte di meno.

*Antigone

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