«Rispetto al testo dal quale siamo partiti, abbiamo fatto una sola modifica», dice la ministra della giustizia Cartabia commentando in conferenza stampa l’approvazione all’unanimità della riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario. È andata così, ma solo perché le trattative e i compromessi tra i partiti di maggioranza sono andati avanti per settimane, se non per mesi, fino alla porta del Consiglio dei ministri di ieri mattina, non a caso slittato di tre ore. Alla fine si è firmato un armistizio su tutti i punti della riforma, un accordo di massima come ha riconosciuto Draghi: «Sono rimaste delle differenze di opinione, c’è però l’impegno e la disponibilità a superarle dando al disegno di legge priorità assoluta per approvarlo in tempo per le prossime elezioni del Csm».

NON SARÀ FACILE, soprattutto al senato che dovrebbe ricevere il provvedimento, se i tempi saranno rispettati, ad aprile. Le elezioni del Csm sono a luglio e prima il governo avrà bisogno di un mese per disegnare i nuovi collegi elettorali delle toghe. «Se non ci saranno intoppi non ci sarà necessità di prorogare il Csm in carica», ha detto la ministra. Ma questa volta il governo non metterà la fiducia, almeno a voler prendere in parola il presidente del Consiglio che lo ha promesso in conferenza stampa. Fa parte dell’accordo di maggioranza, che evidentemente non poteva essere firmato senza questa clausola che ha consentito a quasi tutti i partiti di rilanciare un minuto dopo la conclusione del Consiglio dei ministri.

Dietro il retorico richiamo al parlamento protagonista – quasi una dizione formulare dopo la rielezione di Mattarella – si nascondono infatti le tante spinte dei partiti che sono rimasti insoddisfatti o soddisfatti a metà. Se la leghista Bongiorno dice che «la vera riforma della giustizia si farà con i referendum», Forza Italia annuncia l’intenzione di dare battaglia già da mercoledì prossimo quando comincerà l’esame in commissione giustizia alla camera (il giorno prima la ministra sarà ascoltata sul Pnrr ma naturalmente le chiederanno anche della riforma).

«Rivendichiamo la libertà di sostenere la nostra idea di sorteggio temperato», dice il partito di Berlusconi (i cui ministri sono arrivati in ritardo al Consiglio proprio per fare training al telefono con il Cavaliere), citando un documento che sostengono di aver allegato al verbale del Consiglio dei ministri. Anzi, garantiscono che il governo darà parere favorevole al loro emendamento che cristallizza le funzioni di pm e giudici concedendo una sola possibilità di cambiarle entro i primi cinque anni. Tajani si spinge a definire l’intero pacchetto di emendamenti approvato ieri «solo un testo base».

IL TESTO BASE in realtà è ancora quello che sta alla camera da un anno e mezzo, firmato dall’ex ministro della giustizia Bonafede. Al quale la guardasigilli Cartabia è sostanzialmente regredita, recuperando quel «ruolo speciale» per i magistrati che hanno svolto un mandato elettivo o al governo o nelle giunte locali e che non dovranno mai più tornare a funzioni giurisdizionali. Un limbo non ben definito (si conserveranno qualifica, anzianità e stipendio di magistrato) che andrà a ingrossare la pattuglia di toghe negli uffici ministeriali. La «sola modifica» arrivata ieri durante la cabina di regia a palazzo Chigi interviene su questo punto, prevedendo che per escludere definitivamente il magistrato dalle funzioni giurisdizionali questi debba aver svolto almeno un anno di mandato politico.

La modifica, voluta dal ministro Pd Orlando (ex guardasigilli) e sostenuta da Speranza (Leu) è chiaramente pensata per limitare la «punizione» della toga che entra in politica e magari ne esce rapidamente. Ma potrebbe avere qualche effetto positivo anche per frenare un problema opposto, al quale si è pensato poco: magistrati attratti dal limbo ministeriale e in cerca di un mandato politico anche breve pur di lasciare per sempre le procure e i tribunali. Sul punto va segnalato che il sottosegretario Garofoli, consigliere di stato e per questo al centro di sospetti forse mal riposti visto che la norma, non retroattiva, non lo avrebbe escluso dal rientro nelle funzioni, ha lasciato «per sensibilità istituzionale» il Consiglio dei ministri (a Speranza il compito di stendere il verbale). Draghi lo ha ringraziato assai per il «lungo» lavoro di mediazione.

LAVORO CHE evidentemente non è concluso. I 5 Stelle, che possono rivendicare il ritorno ai principi della Bonafede in materia di «porte girevoli», annunciano battaglia sulla nuova legge elettorale per le toghe. Un sistema maggioritario (come quello attuale) binominale, quindi con buone probabilità di favorire il bipolarismo tra le correnti più forti, ma temperato con il recupero di sei seggi proporzionali (su 20). Almeno un pm e cinque giudici – è questo il tentativo – dovrebbero così sfuggire al controllo delle correnti. Anche perché non sono previste liste elettorali (ma nessuno potrà impedire il collegamento delle candidature) e i candidati meno forti saranno aiutati dallo scorporo.

Ci sarà parità di genere almeno nella candidature e per garantirla (e nel caso anche per garantire un numero sufficiente di candidati) ecco comparire il sorteggio. Il metodo di assai dubbia costituzionalità che ormai una parte maggioritaria delle forze politiche – centrodestra e centristi – apertamente appoggia. Forse proprio dell’essere riusciti a evitarlo si nutre la soddisfazione del Pd, il partito che con Leu si mostra più aperto verso il compromesso raggiunto. Anche perché, fanno notare la responsabile giustizia Rossomando e i deputati Bazoli e Verini, ha portato a casa «le norme sullo stop alle nomine a pacchetto e sulla presenza con diritto di voto di avvocati e docenti nei consigli giudiziari».