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Come Virgilio divenne un mitologema tra committenza, ammiratori e invidia

Come Virgilio divenne un mitologema tra committenza, ammiratori e invidiaBusto di Virgilio nel Parco virgiliano di Napoli

Scrittori classici ELIO DONATO, «VITA DI VIRGILIO» (LA VITA FELICE); MARIO LENTANO, «VIRGILIO» (SALERNO EDITRICE)

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 11 settembre 2022

Un uomo – è giovane e bello – cammina con il capo chino. A passo disinvolto si inerpica per le colline che circondano «Parthenope». Parla la lingua segreta delle stelle e conosce i canti del mare; con la magia della sua voce asciuga le paludi e dissoda la terra. Disciplina il soffio caldo dei venti, doma i serpenti e guarisce i cavalli. Abita sulla costa, ma vola e danza come l’aria, senza mai fermarsi. Mentre percorre l’«orrida, bella e straziata campagna» dei Campi Flegrei, con la mente è agli Inferi e allo Stige. Quando invece attraversa i boschi freschi della «Campania Felice», le selve in cui l’anima si ristora dall’afa, porge l’orecchio alla natura e modula i suoi esametri sulla musica dell’acqua. È il poeta Virgilio, e questo è il ritratto in cui lo immortala la penna di Matilde Serao, fondatrice, nel 1892 con il marito Edoardo Scarfoglio, del Mattino: celebre quotidiano del Mezzogiorno, importante fucina per le istanze del pensiero partenopeo.
Gli occhi della scrittrice, «mobili, accesi, inquisitori» – così ebbe a dire Mario Sandri – ci restituiscono l’immagine, a momenti placcata con l’oro, di un genio santificato. Un cammeo di antica memoria, a onor del vero, che affonda le sue radici in un passato lontano; un tempo in cui «le vite dei poeti e dei letterati … attingevano largamente temi e motivi ai racconti sugli eroi», spiega Mario Lentano, professore di letteratura latina all’Università di Siena, nel prologo alla sua edizione commentata delle Vite di Virgilio (Elio Donato, Vita di Virgilio, La Vita Felice «Saturnalia», pp. 179, € 12,50). Il senso del plurale è presto chiarito: alla biografia trasmessaci dal grammatico Donato (secolo IV) che offre il titolo al libro, l’autore affianca, infatti, quella di Servio (secolo V), del contemporaneo Foca e di Probo (secolo I d.C), il cui trattato sembra tuttavia da attribuirsi al paziente sforzo di un falsario tardo antico. Donato, che compulsa tutte le informazioni già messe insieme nella sua opera Sui poeti dall’archivista Svetonio (I-II d.C.), funge per i posteri da memoria archetipale. Il filo rosso tra le storie, a tratti simili a una collana di vivaci narrazioni milesie, invece, è l’uomo. Còlto nel suo profilo più intimo e intenso.
A quegli scritti che da soli ci consentono di ripercorrere ad ampie falcate le tappe essenziali del nostro vissuto culturale – in ordine di composizione Bucoliche, Georgiche, Eneide – naturalmente si fa sempre riferimento, ma ciò che interessa i dotti sono le «rivelazioni dal buco della serratura», come le definisce Lentano, e le notizie documentarie che consentono di gettare luce su una vita che sfuma nella leggenda. La venuta al mondo del «vate», nelle loro carte, viene così costellandosi di una lunga sequela di prodigi: nasce nei pressi di Mantova il giorno delle idi di ottobre, si fa adulto assumendo la toga virile mentre Lucrezio, il poeta-simbolo della generazione precedente, si spegne. Grazie al bacio di miele che le api, nei campi, gli hanno impresso sulle labbra, «un processo di mitologizzazione della biografia», già da fanciullo sa esprimersi in versi. La natura, del resto, risponde col proprio corpo al tumulto della sua esistenza: un pioppo – il dettaglio ci è trasmesso da Donato e Foca –, «una sorta di doppio vegetale», cresce accanto a Virgilio e lo accompagna nei lunghi anni, elevandosi sopra ogni altro albero.
Purtroppo, però, la perfidia degli esseri umani non conosce limitazioni e l’ammirazione spesso si perverte in odio.
In una monografia uscita di recente (Virgilio, Salerno Editrice «Sestante», pp. 234, € 22,00), Lentano, oltre ad addentrarsi nel profondo delle opere virgiliane e delle loro intenzioni, valorizzando peraltro la suggestiva ancorché problematica esperienza giovanile dell’Appendix, fa camminare il lettore, con morbidezza espressiva, nelle orme pesanti lasciate dal piede di un intellettuale la cui sensibilità dolorosa fu acuita dal negoziato col potere, dal rapporto con la committenza e dalla relazione, non sempre facile, con il pubblico. Quando il poeta, inconsapevolmente vicino alla fine della sua vita, si mette in viaggio, ha il cuore pesante: gli obtrectatores – gli haters, come diremmo oggi – hanno fatto a pezzi gli escerti del suo travagliato capolavoro, l’Eneide. Hanno messo a dura prova il temperamento mite e perfezionista di chi, come l’orsa «che non smetteva di modellare con la lingua i suoi cuccioli, finché non avessero assunto l’aspetto impeccabile di piccoli, perfetti orsacchiotti», coltivava i propri versi come un padre fa coi figli.
Il merito più grande di questo secondo libro, che integra le cronache del primo con l’ausilio di una solida teoria critica, è quello di saper catturare in un’istantanea il Virgilio ‘di carne’ e, al tempo stesso, uno degli aspetti antropologici più inquietantemente sinistri della civiltà: l’invidia.
Lentano ci vede lungo: «come ben sapevano gli antichi» – allora come oggi – «i fulmini non si abbattono se non sulle vette». Vale a dire: haters gonna hate.

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