Come uscire dalla cattività delle larghe intese
Sulle pagine del manifesto Asor Rosa è intervenuto con un due articoli ( 14, 18 giugno) che intervengono sull’attualità e sviluppano un ragionamento più complessivo, frutto di un’analisi guidata da […]
Sulle pagine del manifesto Asor Rosa è intervenuto con un due articoli ( 14, 18 giugno) che intervengono sull’attualità e sviluppano un ragionamento più complessivo, frutto di un’analisi guidata da […]
Sulle pagine del manifesto Asor Rosa è intervenuto con un due articoli ( 14, 18 giugno) che intervengono sull’attualità e sviluppano un ragionamento più complessivo, frutto di un’analisi guidata da un pensiero forte. Un elemento non casuale di tale sintesi è ancora costituito dal marxismo, sia pur in una sua versione “eretica”, debitrice, per quanto l’esperienza sia lontana nel tempo, di un’impostazione operaista fondata nella militanza da giovanissimo in due riviste come Quaderni Rossi e Contro piano.
Una teoria del soggetto antagonista. E per non rimanere a livelli astratti e nominalistici lo stesso titolo “L’ottavo pilastro” degli articoli perde un po’ della sua enigmaticità se ci rifà a un lungo articolo “I sette pilastri della saggezza” pubblicato, sempre sul manifesto all’insediarsi del governo Monti dallo stesso Asor Rosa. Un articolo ragionato, forse una delle analisi più circostanziate di quella operazione politica, in cui l’autore individuava simbolicamente i sette segni del comando, cioè le forze ideologico-sociali (la Confindustria, l’ideologia cattolica tradizionale, pezzi dell’alta burocrazia statale e vertici delle banche) e le circostanze politiche (l’unione sacra contro Berlusconi, lo spread fuori controllo, ecc.) disposte attorno al governo Monti per creare l’unanimismo verso la gestione della crisi italiana come subordinazione alle politiche finanziarie europee. La gestione tecnocratica del dominio deve, cioè, apparire naturale e necessitata e per far questo ha bisogno di forze ideologiche potenti.
Un giudizio che in questi articoli viene ulteriormente approfondito con un’estensione del ruolo dell’apparato ideologico al Pd per sostenere e portare avanti la trasformazione del governo nel liquidatore dello stato sociale che è inquietante non solo per il presente ma come annunzio dell’autoritarismo a venire.
Il ragionamento portato avanti da Asor Rosa sulla scorta degli eventi post-elettorali è che vi sia stata una gestione pilotata di questa fase della vita italiana con un esito pensato, voluto e forzato perché, alla fine, si arrivasse al governo delle larghe intese. E se Asor Rosa adombra, ma non parla apertamente di complotto, nondimeno vede tutto questo periodo come attraversato da una volontà d’impedire un governo progressista a guida Pd, preparando l’esito consociativo della fine. Il soggetto politico titolare di questa volontà ha un identikit preciso e anche se l’autore non fa nomi e cognomi ne è facilmente ricostruibile l’identità.
Alla mia posizione luxembourghiana, quest’approccio era sembrato, e ancor oggi mi sembra, peccare di un eccesso di soggettivismo nonché di un certo feticismo leninista del ruolo degli apparati di partito nella storia della classe. Spiegare con una teoria del complotto e della degenerazione degli apparati un fenomeno di deriva post-moderna della rappresentanza verso forme di neo-corporativismo della politica rischia di pensare a rimedi al di sotto dell’entità del male. E’ un discorso che meriterebbe ben altri approfondimenti. Eppure v’è nell’analisi dell’articolo un’indicazione tattica che non andrebbe trascurata.
La chiave di volta per uscire dalla “cattività babilonese” della politica delle larghe intese potrebbe essere l’elaborazione di una nuova legge elettorale. Su questo punto la sinistra radicale tace dopo la disavventura elettorale. Un silenzio grave, talora accompagnato da analisi della classe politica come casta, che non solo blandiscono Grillo e il grillismo, ma soprattutto non colgono la gravità del problema. E’ pensabile che quella parte di sinistra radicale più capace di una “critica della politica” elabori una legge d’iniziativa popolare sulla riforma elettorale (e giuristi capaci di scriverla ce ne sono) fatta di pochi articoli e oggetto di una campagna di mobilitazione di massa nel paese?
E’ possibile che intellettuali come Asor Rosa si propongano come garanti di una convergenza “costituzionale e costituente”, di forze, anche diverse, ma accomunate da un medesimo obiettivo? E’ possibile pensare a come uscire dalla “cattività babilonese” o, tenendoci lontani da Bisanzio, vedremo alla prossima tornata Bisanzio imperare sulle nostre vite e sui nostri voti?
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