Come un tango argentino, il pallone malinconico in un «dribbling » di vite
Libri Il volume di Marco Ferrari e Marino Magliani "Sporca faccenda, mezzala Morettini"
Libri Il volume di Marco Ferrari e Marino Magliani "Sporca faccenda, mezzala Morettini"
«Diego Álvaro Menconi stava leggendo i titoli del settimanale El Gráfico mentre sorseggiava un caffè, quando sentì bussare forte alla porta. Sono la signora Alicia Morettini, abito all’ultimo piano». Suo marito modesta mezzala è scomparso. Forse per motivi politici. Siamo nell’Argentina degli anni ’60 e il calciatore potrebbe essere un desaparecido prima del tempo. Questo incipit induce il lettore a pensare che sta per inoltrarsi in una storia hard boiled latino-americana. Invece è un dribbling. È una veronica che ci fa scivolare dentro un labirinto. Sporca faccenda, mezzala Morettini (Edizioni Atlantide), scritto in coppia da due liguri visionari Marco Ferrari e Marino Magliani si rivela un’odissea picaresca alla ricerca di un calcio lirico in un paese metafora come l’Argentino. Menconi è un procuratore indebitato a caccia di talenti del calcio da spedire in Europa, in Italia, magari al Genoa o alla Sampdoria. Insomma, più simile al grande Lebowski che all’investigatore Philip Marlowe. Mentre il Grande Sonno è quello di un continente e di un intero mondo.
ERA STATO capace persino di falsificare le pagine di El Grafico, un famoso settimanale argentino, per mandarle ai direttori sportivi così da smerciare per le squadre italiane veri e propri bidoni. Luis Pacìfico Morettini era uno di questi. Ne azzeccava una su dieci. Quasi sempre gli arrivava un pallone e restituiva un mattone. Ma poi capitava, come facesse non si sa, il tocco magico.
Odissea picaresca tra procuratori indebitati e calciatori spiantati
«Non si può più parlare di politica, ci lasciano liberi di dire tutte le cazzate possibili solo sul calcio», dicono alla televisione in una puntata di una famosa trasmissione Polémica en el fútbol, in onda dal 1961 al 1999. Il calcio è lo specchio di questo paese inconcludente». Menconi gira la Pampa in direzione della Patagonia. E pensa al calcio. Prima di prendere sonno per poche ore, ogni notte, elencava a memoria le grandi nazionali argentine. Prima fra tutte quella dell’ingiusta sconfitta contro i padroni di casa a Montevideo ai Mondiali il 30 luglio del 1930. Era orgoglioso, però, che in quella squadra ci fossero tanti figli di emigranti italiani. Lui si sentiva argentino. Ma suo padre era morto sbiascicando incomprensibili parole in dialetto carrarese. Suo nonno Gioacchino era un anarchico e dovette lasciare l’Italia dopo i tumulti scoppiati a Carrara nel 1894. Come Colombo sbarcò nell’isola di San Salvador, pensando di arrivare nelle Indie.
I SUOI AVI pensavano di sbarcare a New York e raggiungere Paterson, capitale libertaria, la città del regicida Gaetano Bresci e del pugile Rubin Carter Hurricane. Invece erano finiti molto più giù, a Buenos Aires.
Menconi aveva sempre mangiato calcio e politica. Morettini no. A quanto le aveva detto la moglie, mai si sarebbe mischiato in fatti politici. Di politica, invece, la polizia politica, la Yuta se ne occupava, eccome, in Argentina. Palla bassa e pedalare. Grazie al ricordo di suo padre Menconi riusciva a collegare il calcio alla Storia. Se ti capita una palla giocabile, non ti devi far scappare la grande occasione. Da qui l’idea di portare il trìo maravilla a giocare in Italia tra creuze e carrugi. Tutti i giornali sportivi italiani parlavano del presidente cowboy della Carrarese che era riuscito a far giungere dalla pampa tre oriundi e li aveva convinti a giocare in serie C.
Questi calciatori avrebbero dovuto «pensare con i piedi», alla maniera di Osvaldo Soriano. Solo che, come imparerà a proprie spese, Menconi ha finito per imbattersi in calciatori che «tra la testa e i piedi hanno sempre tenuto una certa distanza». Gli sviluppi della loro vicenda saranno per questo sorprendenti ma malinconici.
QUESTO è un libro sulla nostalgia. «Qual è stata la perdita più profonda dalla tua infanzia?», chiese Morettini, El diablo de Avellaneda, e il capo della polizia rispose «L’asteroide bianco metallizzato, la più bella biglia che abbia mai avuto e che tu mi hai fregato giocando a buche». Ecco, inseguiamo sempre quello che abbiamo perduto. Spesso è tondo, circolare, come i giri di un tango.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento