Cultura

Come un paio di scarpe può cambiare la realtà

Come un paio di scarpe può cambiare la realtàVincent Van Gogh, «Un paio di scarpe», Van Gogh Musesum

Saggi «I piedi del mondo. Come le scarpe Nike hanno rivoluzionato l’immaginario globale» di Tommaso Ariemma, da oggi nelle librerie per Luiss University Press

Pubblicato circa un mese faEdizione del 18 ottobre 2024

È possibile capire il proprio tempo, la sua struttura e il suo spirito, a partire da un paio di scarpe? La risposta che dà il nuovo libro di Tommaso Ariemma I piedi del mondo. Come le scarpe Nike hanno rivoluzionato l’immaginario globale (Luiss University Press, pp. 100, euro 14), è sì. Non solo è possibile, ma anzi le scarpe, e un particolare tipo di calzature nello specifico, rappresenterebbero un genere speciale di «iper-oggetti» (il rimando qui è alle teorie di Timothy Morton) che meglio di altri «eventi» raccontano il mondo che abitiamo e le sue trasformazioni. In questo testo, con una scrittura brillante e godibile e uno stile che ricorda l’attitudine micrologica di Simmel e Kracauer, Ariemma spiega come le scarpe Nike, analizzate fenomenologicamente, contengano in sé la sostanza della transizione dal moderno al post-moderno, fino a diventare esse stesse, la filosofia del nostro tempo.

PER ESSERE PIÙ CHIARI: se già Martin Heidegger ne L’origine dell’opera d’arte si era dedicato all’analisi di un paio di scarpe contadine dipinte da Van Gogh alla fine dell’Ottocento e Fredric Jameson ne Postmodernismo. Ovvero la logica culturale del tardo-capitalismo sviluppava, in contrapposizione al tradizionalismo del mago della Foresta Nera, un’analisi marxista delle Diamond Dust Shoes di Andy Warhol che diventavano il simbolo della mancanza di profondità storica della cultura post-moderna, per Ariemma le Nike che conquistano il mondo negli anni Ottanta del ventesimo secolo, sono esse stesse l’opera d’arte più interessante della nostra epoca.

Non si tratta, insomma, di analizzare l’opera di un artista che «rappresenta» un oggetto leggendolo filosoficamente, ma di capire come queste calzature siano opere «senza autore» – e quindi interessanti anche in quanto risultato di una trasformazione del processo produttivo degli oggetti culturali –, che incarnano la forma di vita contemporanea.
Per riuscire a cogliere questo passaggio è necessario liberarsidei pregiudizi e del moralismo anti-consumistico di cui, secondo l’autore, avrebbe sofferto una certa cultura di ispirazione marxista, il che è vero se pensiamo al Partito Comunista Italiano e a Enrico Berlinguer in particolare, ma non del tutto per il marxismo creativo italiano, che invece del consumo ha fatto un’arma di lotta teorico-politica (basterebbe qui rimandare alla gioia degli espropri del Settantasette, da Milano a New York, e alla rivendicazione proletaria del lusso).

L’AUTORE HA INVECE senz’altro ragione a evidenziare come le nostre anime, dopo la sconfitta dei movimenti degli anni Settanta e la contro-rivoluzione neoliberista, siano diventante «simbolicamente di gomma», e come le Nike abbiano «raffreddato» ogni «istanza rivoluzionaria, portando avanti una strategia profondamente ironica» e quindi come il mondo che abitiamo oggi sia nato negli anni Ottanta (argomento al quale aveva dedicato un aureo libretto alcuni anni fa), quando il futuro è diventato passato e quest’ultimo ha colonizzato il nostro inconscio. E proprio questa è la chiave di volta del successo delle scarpe Nike, che già nel nome rimandano all’origine greca della cultura Occidentale, diventando simbolo di una nostalgia che si fa segno dei tempi.

La grecità è ciò che rende concepibile l’«esser-ci» ancora quando l’orizzonte del possibile si è ristretto drammaticamente, e allo stesso tempo lo swoosh, così come il cuscinetto di aria compressa, diventano simbolo del dominio dell’aria che geo-politicamente sostituisce la dicotomia terra-mare di schmittiana memoria.

Ecco perché c’è più filosofia in un paio di scarpe di quanta ce ne possa essere in certa ricerca «accademica, ed ecco perché la cosiddetta «pop-filosofia», ovvero l’analisi concettuale della cultura di massa, iniziata da Umberto Eco, rappresenta uno degli orientamenti più vivi e interessanti della scena filosofica italiana. Se questo è vero è ragionevole pensare che l’ordine del tempo, che fino a qualche tempo fa è stato rivolto solo al passato, possa essere scardinato dai nostri piedi, e che proprio dal «basso» da cui è nata la civiltà umana si possa riaprire un orizzonte di trasformazione.

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