Come un corpo di scena
Eventi Nell'ambito del Festival Fog Performing Arts alla Triennale, lo spettacolo «La sposa e buonanotte Cenerentola» di Carolina Bianchi
Eventi Nell'ambito del Festival Fog Performing Arts alla Triennale, lo spettacolo «La sposa e buonanotte Cenerentola» di Carolina Bianchi
Fuck catharsis. Una automobile nera, i fari puntati verso il pubblico. Una targa che al posto di numeri e lettere esibisce la violenta imprecazione. Un brivido che colpisce psicologicamente la mente, per poi insinuarsi, come una lama, nel corpo di chi è in sala. Qualcosa che ha a che fare con la paura, il disagio, l’assenza di consolazione, un misto di sensazioni reiterato per 150 minuti che resta dentro lo spettatore per ore, giorni, le luci del teatro ormai spente da settimane. L’effetto, potente nella crudele verità di ciò che si racconta ed evoca in scena, appartiene al primo capitolo della Trilogia Cadela Força (che in portoghese si traduce «la forza della cagna») di Carolina Bianchi, intitolato La Sposa e Buonanotte Cenerentola. Pezzo che ha inaugurato alla Triennale Milano il festival Fog diretto da Umberto Angelini, dopo aver fatto assai parlare di sé al Festival di Avignone 2023, ora in debutto italiano.
Carolina Bianchi è una performer, regista, scrittrice brasiliana che vive ad Amsterdam: insieme al suo collettivo Cara de Cavalo impagina in una drammaturgia avvincente, tragicamente realistica nei contenuti a cui rimanda, un tema spaventoso. Buonanotte Cenerentola è in Brasile il nome sfottente dato alla droga dello stupro, mix di sostanze psicoattive e insapori mischiabile in un cocktail all’insaputa della vittima. Il pezzo inizia con Carolina Bianchi sola in scena. In centro c’è un tavolo, dietro di lei uno sfondo per le proiezioni. Il testo è recitato in portoghese con traduzione sugli schermi. «Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai in una selva oscura». Si parte con le parole di Dante, il tema dello spettacolo è noto, la citazione della selva catapulta i pensieri del pubblico nell’immaginario collettivo dello strazio sul corpo femminile. Bianchi passa a una storia del Decamerone di Boccaccio, quella di Nastagio degli Onesti, dipinta nel Quattrocento da Botticelli. Una donna nuda fugge in un bosco inseguita da un cavaliere, furioso per essere stato rifiutato: sbranata dai cani la donna sarà uccisa dal violento innamorato che darà in pasto le interiora dell’amata ai terribili mastini. Aiuto.
IL RACCONTO prende altre vie, intrecciandosi alla visione quasi documentaristica di fotografie e video con artiste che sfidano nella performance l’occhio e il dolore fisico. Tania Bruguera che alla Biennale di Venezia del 2009 in Autosabotage si punta una pistola carica alla tempia dopo aver fatto girare il tamburo come nella roulette russa; Gina Pane con le braccia punteggiate da lesioni; Regina José Galindo in Siesta riversa prona su un materasso, a terra di fianco a lei un bicchiere di vino rosso drogato che brucia la memoria. Ma soprattutto Bianchi dedica spazio al racconto di Pippa Bacca, uccisa nel 2008 in Turchia dopo essere stata stuprata nel mezzo del suo progetto Sposa in viaggio, un cammino in autostop vestita da sposa. Fuck alla catarsi, fuck alla fiducia negli altri. Un urlo contro la fragilità della bontà. Nessuna speranza o rinascita può emergere dalla morte della performer.
Tra una storia e l’altra, Bianchi si è seduta al tavolo, si è preparata un drink, avvisa il pubblico che se il cocktail farà effetto, lei cadrà in letargo. Nulla ricorderà con Buonanotte Cenerentola. Che il pubblico non si preoccupi! Lo spettacolo, avvisa la regista, continuerà con la compagnia. È uno scherzo? Ci si irrigidisce sulla sedia. Nessuno prende più appunti. Pian piano Carolina si affatica, cammina male, perde conoscenza. Viene distesa su un lenzuolo. Via il tavolo, via lo sfondo. Maschi, femmine, musica, la compagnia di Bianchi prende la scena, mentre la voce registrata della regista prosegue nei racconti. I performer scolano gin, si strusciano uno con l’altro, un divertimento ruvido che ha il sapore della morte. Nell’auto nera quattro ragazze ridono nella notte piena di pericoli, ma ognuna di loro ha nasconde dentro sé una storia di violenza raccontata dalle singole a una videocamera che proietta in zoom i quattro volti su uno schermo. Fuck catharsis.
Si esce dalla sala ammutoliti, colpiti dallo scontro emotivo con uno spettacolo dal timing drammaturgico serrato, pieno di effetti a sorpresa, che lascia però dentro una sensazione di nausea legata tragicamente al racconto di una realtà senza filtro.
LA VOCE fuori campo va avanti implacabile a mischiare storie vere con ciò che accade in scena: Bianchi continua a dormire, ignara, l’auto è sempre lì, il disorientamento pure, mentre le parole elencano le migliaia di femminicidi e stupri catalogati a Città del Messico, aprendo anche una parentesi su una modella fatta uccidere nel 2017 dal portiere Bruno Fernandes de Souza: il corpo lasciato sbranare ai rottweiler, un legame agghiacciante con il racconto di Nastagio degli Onesti.
A Bianchi, ancora stordita, viene fatta con medicale cura una visita con speculum. Una videocamera proietta l’interno del corpo sullo schermo che fa da sfondo alle parole. «Nessun atto di amore può riparare il danno». «Svegliarsi non significa necessariamente ricordare». Quando si aprono gli occhi, si torna davvero alla vita? Il ritornello «Life is coming back, finally…» ha qualcosa di sinistro. Perché quel buco nero nella memoria che la violenza consumata crea, è uno dei temi che Bianchi approfondisce con più lacerante profondità. Qualcosa, che nella sua crudeltà psicologica oltre che fisica, la vittima continua a ricercare senza sosta nella memoria del corpo. Si esce dalla sala ammutoliti, colpiti dallo scontro emotivo con uno spettacolo dal timing drammaturgico serrato, pieno di effetti a sorpresa, che lascia però dentro una sensazione di nausea legata tragicamente al racconto di una realtà senza filtro.
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