Siamo una specie invasiva: «Si stima che la massa antropogenica di materiali solidi incorporati e accumulati negli oggetti prodotti dagli esseri umani e ancora in uso abbia ormai superato in peso secco il volume della biomassa vivente animale e vegetale complessiva». È ricco di dati illuminanti, riferimenti bibliografici e analisi l’ultimo libro di Paolo Cacciari, giornalista, attivista nei movimenti sociali, esponente del movimento per la decrescita.

LA SUA RACCOLTA DI SCRITTI tematici ruota intorno all’economia capitalistica che imita la guerra permanente di tutti contro tutti. La sfida del saggio è delineare percorsi e contenuti di un’economia di pace, ecologica e solidale. Per «invertire la rotta non basta girare la barra del timone, bisogna anche eliminare la zavorra, spegnere i motori e soprattutto cambiare i timonieri». Di fatto, un ammutinamento. Non sarebbe poi impossibile. Per esempio, «alcuni scienziati hanno calcolato che riportando allo stato naturale il 15% delle terre oggi compromesse dalle attività antropiche, si eviterebbe il 60% delle previste estinzioni di specie animali e si catturerebbero miliardi di gas serra».

E PENSIAMO ALLA SVOLTA agroecologica, alle energie rinnovabili, alla riforma dell’edilizia, all’obsolescenza programmata. C’è chi crede che tutto ciò possa avvenire all’interno del capitalismo. Con una quarta, o quinta, rivoluzione industriale, robotizzata, nanotecnologica. Con una tecnologia taumaturgica capace di dematerializzare i cicli produttivi. Ma il decoupling, il disaccoppiamento fra crescita del Pil e impatto ambientale, è figlio dell’idea che beni e servizi della natura possano essere trattati come merci; alla re Mida appunto.

«PIU’ AUMENTA L’EFFICIENZA tecnologica nell’estrazione e nell’impiego delle risorse, più aumenta il loro impiego»; perché le innovazioni sono subordinate al profitto. Giorgio Nebbia («il padre dell’ecologia italiana», ricorda Polo Cacciari) soleva dire ai suoi studenti: «Ogni soldo che passa da una tasca all’altra si trascina dietro un pezzetto di natura».

UNO DEI TITOLI, NEL SAGGIO Re Mida, è esplicito: «Già Marx e Engels». Il primo indicò la rincorsa bisogni- costrizioni, nei Manoscritti economico-filosofici; il secondo, nella Dialettica della natura, mise in chiaro che non possiamo dominarla perché le apparteniamo. Il «nuovo tipo di capitalismo» lanciato dal Forum economico mondiale? E’ una volpe a guardia dei polli. Afferma la Vision 2050: evitare la catastrofe ecologica e sociale non significa abbandonare il capitalismo – semmai l’opposto. Questo nuovo business, fra green economy e green washing (si pensi al clima) crede compatibili le 3P: profitto, persone, pianeta. Con un bel reset.

ALLA LARGA. BISOGNA invece avere «un’idea di nuova società», e ormai l’ipotesi che sia quella della decrescita non è più un tabù. E’ tutta da inventare un’economia che preservi la vita e condivida le ricchezze da produrre con una cooperazione sociale responsabile, che rivoluzioni le teorie del valore. Uscire dalla «megamacchina termoindustriale» per una riconversione seria degli apparati produttivi ed energetici in chiave ambientale e senza fare debiti con altri popoli o con le generazioni future richiederà una netta diminuzione di beni e servizi immessi nei mercati, liberando tempo e spazio per i cicli naturali e gli umani.

E SI TRATTA ANCHE di «sottrarre agli Stati la sovranità sull’utilizzo delle risorse naturali per cederla alle comunità»; per la studiosa Elinor Ostrom, l’optimum per la gestione dei beni comuni è un bacino di 15.000 abitanti… Cacciari si sofferma sul conflitto in Ucraina, ricordando che c’è sempre un’alternativa negoziale all’uso delle armi e che la nonviolenza e il disarmo sono l’unica forma di deterrenza. Nella situazione geopolitica attuale, poi, «il pensiero della decrescita emerge come ragionevole e realistico» e «consiglierebbe percorsi di de-globalizzazione e ri-territorializzazione degli apparati produttivi, distributivi e di consumo, a partire dalle filiere agroalimentari ed energetiche», accelerando la fuoriuscita dai fossili.