Chissà perché, guardando sabato scorso su Raitre il film di Walter Veltroni Edizione straordinaria, mi è venuta in mente Wanda Osiris. Quando da bambina vedevo celebrare la Wandissima in televisione mi chiedevo che cosa mai la gente trovasse in quella signora tramontata da tempo, che si truccava ancora come all’epoca dei telefoni bianchi, indossava copricapi nostalgici di piume e diademi, cantava con un’intonazione traballantissima e sapeva fare bene solo tre cose, sorridere a tutta bocca, allargare le braccia e scendere le scale con regale incedere. È notorio che i giovani sanno essere impietosi, tanto meno sanno apprezzare le glorie passate e per questo mi ci è voluto qualche anno per capire che saper venir giù da una scala sui tacchi, senza guardarsi i piedi né aggrapparsi a un corrimano per non cadere non è cosa da tutti.

Basta pensare a come la gente va giù dai gradoni del festival di Sanremo e ho già detto tutto. Ergo, ho in parte rivalutato la Wanda. Mi restava tuttavia un interrogativo cocente. Perché guardando il film di Veltroni il mio inconscio ha accomunato la soubrette della rivista con l’ex segretario del Pd, ex sindaco di Roma che aveva giurato si sarebbe dato al volontariato in Africa e invece oggi scrive libri, articoli e dirige film?

Annunciato in pompa magna e prodotto da Rai Cultura, il documentario si annunciava come una cavalcata sulle edizioni straordinarie dei Tg della Rai, quindi sugli eventi più importanti che hanno caratterizzato l’Italia e il mondo da quando la Rai esiste, ovvero dal 1954. Purtroppo, gli intenti e i risultati non sempre coincidono. Se si voleva fare un lavoro storico, abbiamo visto solo un copia/incolla di notiziari emergenziali, ma mai collocati in un prima e in un dopo né contestualizzati nell’Italia di quel periodo.

Se l’intento era mostrare com’è cambiato il lavoro del giornalista televisivo, è andata anche peggio perché non si è entrati nelle redazioni per spiegare come arriva la notizia, come si costruisce il collegamento, si verifica il fatto, ci si accorda con il corrispondente, si cercano le immagini da mandare in onda, o si ottiene un documento straordinario come quello che riprende a pochi metri la folla che si calpesta nello stadio di Heysel durante la partita Juventus Liverpool (39 morti).

Se l’obiettivo era un’analisi socio-culturale, neanche questo è riuscito perché non si è spiegato come si è passati dal distacco alla partecipazione emotiva, dov’è il punto di rottura che ci ha transitato dal sospendere le trasmissioni per la morte di papa Giovanni XXIIIesimo al dedicare ore e ore di diretta al piccolo Alfredo precipitato nel pozzo artesiano di Vermicino. Mano a mano che il documentario avanzava, invece di dare risposte lasciava domande sospese in una spolverata sommaria di Come eravamo.

Adesso ho capito perché ho pensato a Wanda Osiris. Per contrasto. La Wandissima ha fatto per tutta la vita la stessa cosa, ha dato al suo pubblico ciò che voleva da lei, una presenza e un carisma che riuscivano a mettere in secondo piano la mancanza di altri talenti. Siccome lei sapeva di avere dei limiti, non ha mai preteso di ballare come Fracci o di cantare come Mina e per questo si limitava a scendere le scale e sorridere, ma lì era insuperabile. Quando si poteva essere perfidi, Giorgio Forattini disegnava Veltroni come un lombrico. I casi sono due: o il vignettista non aveva saputo intravvedere il genius capace di passare dall’essere politico, segretario di partito, sindaco e ministro a regista, giornalista e scrittore, o il Paese non sa più trovare le sue Wanda Osiris.

mariangela.mianiti@gmail.com