Lavoro

Come si vive in un paese con il 20% di lavoratori precari

Come si vive in un paese con il 20% di lavoratori precariSan precario, un primo maggio

La storia Dati Istat. Nella repubblica fondata sul lavoro precario, mercificato e miserabile l'occupazione a breve e a brevissimo termine macina tutti i record dal 1977. E mentre tutte le forze politiche si prendono gioco delle vittime di questo gioco al massacro, parlando di "aumento di salari", nessuno mette in discussione uno dei pilastri del sistema: il Jobs Act di Renzi e del Pd. In attesa della prossima crisi

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 3 maggio 2022

Nell’ultimo anno i lavoratori dipendenti precari in Italia sono cresciuti di 430 mila unità. Lo sostiene l’ultima rilevazione dell’Istat sul mercato del lavoro pubblicata ieri. È un nuovo record nel paese devastato dal Jobs Act di Renzi e del Pd: in totale i precari (nel lavoro dipendente, figuriamoci tutto il resto) sono arrivati a 3 milioni e 159 mila a marzo 2022. In pratica siamo vicini al 20% della forza lavoro attiva in questo paese. È il valore più alto dal 1977. E mancano all’appello 215 mila lavoratori autonomi, falcidiati dalla crisi in cui si resta a due anni e più dall’inizio della pandemia. Nessuna delle forze politiche che si commuovono davanti al precariato, ai bassi salari, al violenza sociale del lavoro nero o grigio a cui si è costretti per sopravvivere, e niente di più, in Italia intende davvero mettere in discussione questa macchina che rischia di nuovo di incepparsi in attesa che la nuova crisi indotta sia dalla guerra russa in Ucraina sia dai nuovi lockdown in Cina. L’occupazione dev’essere brutale, breve o brevissima, pagata sempre di meno. Ma guai a pensare, anche lontanamente, di trasformare uno dei dispositivi che alimentano questo girone infernale, esito programmatico della politica neoliberale sulla quale è impiantata la Repubblica «fondata sul lavoro» miserabile e mercificato, con il consenso ultra-maggioritario dei partiti che l’assediano, ma non delle loro vittime. Che restano, purtroppo, silenti. È uno degli aspetti più lancinanti della rivoluzione passiva italiana al tempo del Draghistan. Restiamo congelati in questo dramma.
A marzo l’Istat ha registrato un aumento del numero di occupati di 804 mila unità, il 3,6% in più in un anno, «trasversale per genere, età e posizione professionale». Il tasso di disoccupazione è tornato ai livelli del 2010 registrando una diminuzione all’8,3%. Il dato tra i giovani cresce invece fino al 24,5%. Sono loro i più precari, senza tutele, né garanzie nel paese del precariato. In compenso continuano ad essere disprezzati e accusati di «non volere lavorare». Un classico del paternalismo neoliberale e della violenza sociale. Si sta avvicinando l’estate: prepariamoci alle nuove infamie degli schiavisti della ristorazione, dei lidi al mare e altri esempi dell’economia servili dei servizi. «Può apparire una buona notizia la crescita, anche se lenta, dell’occupazione, ma nasconde un dato gravissimo per il nostro mercato del lavoro: i contratti a termine registrano un nuovo record – ha sostenuto Tania Scacchetti (Cgil) – Il dato più eclatante è che la ripresa dell’occupazione si fonda sostanzialmente sull’esplosione dei contratti a termine, segno che non sono più uno strumento per affrontare esigenze temporanee e limitate, ma una caratteristica strutturale». «Occorre avviare una riforma del mercato del lavoro, assicurare una prospettiva di stabilità e di crescita dei redditi: non è più accettabile che questo sia fondato sulla precarietà».

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