Undici anni e non sentirli. Nel senso uditivo del verbo, dato che non avevano più prodotto nulla in studio dopo Following Seas (2012). Né era andata molto meglio dal vivo, con la doppia staffetta tra Mauro Pawlowki e Bruno De Groote, avvicendatisi alle chitarre negli ultimi sei anni tra drammi sanitari personali e globali. Un Worst Case Scenario, per dirla col loro primo titolo, che non lasciava certo presagire ritorni in grande stile. E invece sì. Perché con How To Replace It (PIAS) i dEUS riescono nell’impresa di riavvolgere le fila del discorso interrotto undici anni fa, sviluppandolo anziché riproporlo in loop. Certo, qualche piccolo ripescaggio c’è, ma è del tutto perdonabile. Da questa texture corposa raggiungono di volta in volta il primo piano synth, percussioni e pianoforti che invitano alla tristezza come in “Love Breaks Down”.

DAL PUNTO di vista poetico, Tom Barman dà l’idea di essere giunto all’inaugurazione della modernità quando il nastro era già stato tagliato. Nello spaesamento dei suoi versi il tempo passato diventa la classica lente attraverso cui riesaminare i residui del romanticismo e dei vecchi desideri smarriti a livello generazionale. Nulla di nuovo, se non fosse che il sodalizio di musica, testi e interpretazione è ben più compatto del solito, cooperando alla costruzione del senso con un range espressivo ulteriormente ampliato, in grado di penetrare attraverso una produzione stratificata come potrebbe essere quella dei The Dears o dei Prefab Sprout.

DA QUESTA texture corposa raggiungono di volta in volta il primo piano synth, percussioni e pianoforti che invitano alla tristezza come in Love Breaks Down (e potrebbe essere altrimenti?). Emerge, soprattutto, la performance vocale di Tom Barman. Il quale non si accontenta più di tradurre lo spleen in senso melodico, ma scivola volentieri in un parlato in stile Waits-Cohen-Tennant. Con una quota finale di piacioneria in francese (Le Blues Solaire) e qualche concessione di troppo a un rap che — è evidente — non gli appartiene (Dream Is A Giver). Ma l’eccentricità contraddistingue da sempre l’opera dei dEUS, e ancora una volta la band belga riesce a imbrigliarla nei confini di uno stile proprio. Proprio soprattutto di Barman, la cui mano è ancor più presente rispetto a quella del co-fondatore Klaas Janzoons: «Stavolta le jam sessions iniziali sono state più corte ed esplosive» ha dichiarato il frontman. «Quando sentivo qualcosa di buono mi ritiravo con il fonico per fare un po’ di heavy lifting». Per fortuna qualche ruga in vista l’hanno lasciata.