Come nasce una teoria del complotto, con l’«assist» della Nasa
On the moon «Non siamo mai stati sulla luna» di Bill Kaysing (ex-dipendente della Rocketdyne che produceva i motori per i razzi della Nasa): un saggio autoprodotto nel 1976
On the moon «Non siamo mai stati sulla luna» di Bill Kaysing (ex-dipendente della Rocketdyne che produceva i motori per i razzi della Nasa): un saggio autoprodotto nel 1976
«A parte il fatto che milioni di persone hanno visto in diretta le sequenze Apollo in televisione o l’hanno ascoltata in radio, forse il materiale lunare è la prova più inconfutabile che nessuna missione lunare fosse una finzione».
Comincia così, nel 1977, la prima nota ufficiale della Nasa per rispondere alle teorie negazioniste sull’allunaggio. Sono due paginette diffuse a mezzo stampa in cui l’ente spaziale americano si limita a spiegare le ragioni per cui non è presente alcun cratere provocato dai motori di discesa del modulo lunare. È la risposta diretta a Non siamo mai stati sulla luna. Una beffa da 30 miliardi di dollari, saggio autoprodotto nel 1976 e poi venduto in tutte le librerie degli Stati Uniti (si trova ancora in rete, anche in italiano).
Il libro mette insieme per la prima volta una serie di elementi di scetticismo già in circolazione in una porzione dell’opinione pubblica stimata dai sondaggi intorno al 5% della popolazione: scatti fotografici incongruenti, ritardi nelle trasmissioni radio, considerazioni sulle capacità tecnologiche e organizzative della Nasa, motivazioni politiche, tesi complottiste sulla morte di alcuni astronauti e di altre persone coinvolte nel progetto Apollo. L’autore è Bill Kaysing, un ex-dipendente della Rocketdyne che produceva i motori per i razzi della Nasa. Il suo ruolo all’interno dell’azienda californiana però era tutt’altro che tecnico. Forte di una laurea in lingua inglese Kaysing era responsabile della pubblicazione della manualistica aziendale, almeno fino a quando non decide di mollare tutto nel 1963. Vende casa, compra un caravan e inizia a girare per gli Stati Uniti scrivendo guide su come mangiare bene con meno di un dollaro al giorno e manuali di filosofia della motocicletta.
Non siamo mai stati sulla luna è fondamentalmente un prodotto di quella controcultura californiana che predica la solidarietà e il ritorno alla natura mentre osserva con scetticismo il governo mentire sulla guerra del Vietnam e lo scandalo Watergate. L’allunaggio è la vittoria spettacolare dell’industria militare americana ai danni del nemico esterno ma soprattutto di quello interno e per questo deve essere negata.
Così il libro di Kaysing diventa l’origine di tutte le successive teorie complottiste sull’allunaggio ma anche la matrice di ogni teoria cospirazionista. Lo scetticismo verso il potere, una certa tensione controculturale, l’analisi indipendente di documenti accessibili e la costruzione di un reticolo narrativo elastico in cui la falsificazione scientifica di un elemento della teoria provoca la superfetazione di altri elementi.
Se successivamente Internet ha reso disponibili sempre più materiali che qualunque hobbysta può mettersi ad analizzare e poi condividere, nel caso delle teorie sul falso allunaggio subentra un ulteriore fattore. Quando una nuova tecnologica riduce lo spazio fisico provoca un’istantanea compressione della percezione condivisa del tempo. Il primo essere umano che mette piede sulla luna determina cioè una accelerazione delle aspettative sul futuro, apre un campo di «futurabilità» per dirla col titolo di un recente saggio di Bifo.
Pochi giorni prima del lancio dell’Apollo 11, il capo-progetto della Nasa Werner von Braun si era detto convinto che entro il 2000 sarebbe nato il primo bambino sulla luna. D’altronde, se tra il primo volo dei fratelli Wright e il primo volo di linea passano poco più di dieci anni, perché la cosmonautica di massa avrebbe atteso un tempo maggiore? La stessa narrativa fantascientifica, che quel futuro aveva invocato sin dai tempi di H. G. Wells, abbandonava l’approccio «hard» e iniziava a rivolgersi agli aspetti sociali della colonizzazione. Oppure esplorava quello che James Ballard definì «spazio interno».
Il 20 luglio 1969 il dito della Nasa stava già indicando molto più lontano della Luna. Ma quelle aspettative sono state progressivamente deluse. Ogni anno che ci allontana da quella data moltiplica le motivazioni a soffermarsi sul dito. E forse oggi sarebbe opportuno prepararsi per un prossimo anniversario, il cinquantenario del 14 dicembre 1972, quando il comandante della missione Apollo 17 Eugene Cernan divenne l’ultimo uomo a calpestare il suolo lunare.
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