«Le persone sono sommerse dalle cose. Non sanno nemmeno perché le vogliono. Di fatto sono inutili. Non puoi far l’amore con una Cadillac, anche se sembra che tutti ci provino» scrisse lo scrittore James Baldwin molti anni fa. Ed è una delle sentenze in esergo che il giornalista J.B. MacKinnon mette all’inizio del suo corposo saggio Il giorno in cui il mondo smette di comprare (Edizioni il Saggiatore, pagine 384, euro 22).

VA SUBITO DETTO CHE il motto sunnominato ha anche il sapore di un moralismo snobistico, spesso frutto di posizioni privilegiate. Tuttavia il problema dei consumi e della sua riqualificazione (di questo si tratta, nessuna etica del sacrificio in agguato) è centrale ormai nel nostro mondo. E, del resto, come ricorda l’autore, da quando nell’ormai lontano 1972 il Club di Roma pubblicò il suo studio sui Limiti dello sviluppo mettendo in guardia sui pericoli che una crescita concepita come infinita avrebbe comportato per un pianeta che invece ha risorse grandi ma limitate, i dibattiti sull’intreccio tra consumi sempre in crescita e un mondo sano e pulito, si sono moltiplicati. Ma, più che dibattiti autentici, concepiti per produrre progetti e soluzioni, si è avuta una sorta di ideologia del dibattito, una falsa coscienza per coprire una realtà altra.

NON SOLO: DA QUANDO la questione dell’impatto ambientale è diventata dirompente, come ha dimostrato anche la pandemia (dove è bastato che i consumi arretrassero per toccare con mano in breve tempo uno stupefacente disinquinamento), le difese dello status quo ammantate di ideologia green si sono moltiplicate.

SCRIVE MACKINNON: «Quella visione dominante del mondo non è mai cambiata, e l’idea che tutta la nostra attività economica possa essere disgiunta dall’impatto ambientale, come un vagone che si stacca da un treno, guida governi e multinazionali a livello globale. E’ il fondamento dell’idea che la tecnologia possa risolvere il cambiamento climatico senza alcuna sostanziale trasformazione del nostro stile di vita. E’ il sacro Gral che conosciamo come crescita verde: un’economia in continua espansione che non danneggi l’ambiente».

E MENTRE IL CONSUMO ORMAI fine a se stesso ha sempre di più il sapore della malattia, il consumatore è divorato dai dilemmi: «Il consumo non sta soltanto distorcendo il clima, abbattendo le foreste, ingombrando le nostre vite, riempiendo le nostre teste con una mentalità usa e getta, sta persino rubando le stelle dal cielo notturno con una espansione assurda dell’illuminazione elettrica. La cosa peggiore è che non ci lascia alcuna idea di cos’altro fare, ci lascia condannati».

INVECE E’ TUTTO POSSIBILE se si comprende il valore spesso negativo che assume la ricchezza quando gira ormai su se stessa. L’autore cita in proposito Georges Bataille. Scrisse il filosofo francese nel 1949: «Non è la necessità ma il suo contrario, il lusso, che pone alla materia vivente e all’uomo i loro problemi fondamentali».

SECONDO BATAILLE L’ORRORE della Prima e della Seconda guerra mondiale erano il prodotto della ricchezza delle nazioni, cresciuta a tal punto da far ingaggiare una pericolosa corsa agli armamenti. E qui, pensando all’oggi, vengono i brividi nella schiena. Soprattutto, cresce la rabbia per una sinistra che non trova la strada per ripartire dalla società e dai bisogni di redistribuzione dei beni tra i ceti popolari e sfruttati. Per liberare anche il mondo privilegiato, si sarebbe detto una volta, dal veleno di una ricchezza che ha ormai dentro di sé, sempre più, non i connotati di eros ma di thanatos.

MA TUTTO IL VOLUME è costellato di fatti contraddittori di un’epoca, la nostra, che cerca una impossibile quadratura del cerchio pur di evitare di fare i conti con il vecchio modello di sviluppo. L’idea di valorizzare sicuramente il meglio del passato ma anche liberarsi dal peggio sembra un esercizio difficile, per molti impossibile.

EPPURE, NEL SUO LINGUAGGIO di pragmatismo anglosassone, l’autore sembra dirci che non c’è alternativa che provarci.