Com’è lacerante vivere a sinistra
Scaffale Il carteggio fra Goffredo Bettini e Pietro Ingrao nell'agile volume «Un sentimento tenace, riflessioni sulla politica e sul senso dell’umano», Imprimatur editore
Scaffale Il carteggio fra Goffredo Bettini e Pietro Ingrao nell'agile volume «Un sentimento tenace, riflessioni sulla politica e sul senso dell’umano», Imprimatur editore
Questo agile volume di Goffredo Bettini e Pietro Ingrao (Un sentimento tenace, riflessioni sulla politica e sul senso dell’umano, Imprimatur editore) è molto più del carteggio tra un politico ormai di lunga esperienza e il suo quasi centenario maestro. Certo, di questo rapporto il libro è intriso in ogni sua pagina ed è in qualche modo anche un omaggio di Bettini a Ingrao, la cui statura, per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, si staglia come quella di un gigante nella desolante tristezza delle attuali leadership. C’è di più, anzitutto perché si tratta del dialogo tra due uomini che hanno vissuto intensamente la storia dei comunisti italiani e della sinistra, anche se, ad un certo punto, le loro risposte alla crisi del 1989 saranno diverse e in conflitto. «Se domani voterai sì da quel momento saremo avversari politici», dice Ingrao a Bettini prima del voto sul cambio del nome del Pci. Non sono in gioco solo categorie politiche, ma affetti, relazioni, è tutto un tessuto umano che viene lacerato. Una ferita che lascia in Bettini un segno indelebile.
Da qui, però, da questa dolorosa lacerazione, dalle sue conseguenze, nasce un distacco da un’idea della politica tutta interna alla logica del totus politicus di togliattiana memoria. Proprio nel momento in cui ci si immerge totalmente nella battaglia politica, così cruenta e crudele, ecco emergere il dubbio sull’onnipotenza della politica, necessaria per cambiare le cose, ma la cui pretesa di racchiudere dentro di sé l’irriducibile unicità dell’essere umano, di dargli norme per ogni cosa, trasforma l’utopia della liberazione nell’incubo dei regimi totalitari.
E così riprende da qui il dialogo con l’antico maestro, non sulle risposte «tattiche», sullo strumento scelto per l’agire, ma su quel dubbio di fondo che anima da sempre il pensiero di Ingrao, il più fecondo tra i leader comunisti, sulla lacerante contraddizione tra la necessità dell’azione, della lotta, della politica intesa in senso alto, insomma, e il suo limite che sta nell’impossibilità di fornire tutte le risposte al dolore, alla solitudine, all’alienazione. Che – dicono Ingrao e Bettini in un bellissimo dialogo sulla pena di morte che prende spunto dal film Monsieur Verdoux di Chaplin – sta anche nella pretesa di giudicare, di normare, di stabilire la scala dei valori che ti fa condannare a morte il singolo che uccide e giustifica l’immenso massacro delle guerre.
Prendere coscienza di questa contraddizione significa rinunciare alla politica? Sia Ingrao che Bettini non rifuggono dalla domanda, ché il loro dialogo verte anzi proprio su questo: se dopo la sconfitta storica della loro parte sia ancora possibile fare politica dalla parte dei più umili, dei più deboli e cosa possa muovere gli individui ad appassionarsi ad essa, in questi tempi di antipolitica dilagante.
L’inizio di questo carteggio risale al 1992, quando Ingrao lascia la camera e Bettini ne scrive su Paese Sera. Il dialogo, dunque, si svolge in più riprese e abbraccia il ventennio che abbiamo alle spalle, dominato dal berlusconismo che oggi volge convulsamente al termine.
Nell’introduzione di Bettini questo passaggio mi sembra assai significativo: «Al sodo, il dramma della sinistra negli ultimi venti anni è stato proprio questo: siamo stati un po’ tutti sussunti da una dimensione astratta, artificiale e sovrastante che ha determinato oggettività economiche, modelli culturali, stili di vita ritenuti giusti perché privi di alternative», i partiti di sinistra sono stati «costretti sempre nella difficile condizione di non poter scegliere, hanno perso il cielo della loro visione e la terra del loro popolo…fino al punto di trasformarsi in un coacervo di correnti personali e di potere senz’anima». Rifondare la politica e la sinistra? Il compito è titanico, e in questo carteggio non vi sono certo le risposte ma sicuramente una direzione di marcia: contro il pensiero unico ammantato di neutralità tecnica e per un nuovo umanesimo rivolto alle persone in carne ed ossa, alle loro sofferenze, alle loro speranze.
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