Visioni

Come in un sogno, lasciarsi andare a uno stato del corpo

Come in un sogno, lasciarsi andare a uno stato del corpoDalla performance «Dream» – foto di Lorenza Daverio

A teatro «Dream» di Alessandro Sciarroni. Partitura per sei performer, un pianista e un pianoforte alla Triennale di Milano

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 aprile 2023

Dream. La parola, solo a leggerla, evocarla, è un invito a lasciarsi andare a uno stato del corpo, un respiro interiore d’attesa. Una visione, una prospettiva sensoriale, un colore, un ricordo, qualcosa di inedito. Dream è anche il titolo di un romanzo e di una performance. Nel corpo, l’avanzare di un sentimento e un’immagine rubata a un libro bianco e alla lentezza ipnotizzante di una danza: Il suo viso è una veduta sconfinata. Dream è l’ultimo lavoro di Alessandro Sciarroni, partitura per sei performer, un pianista e un pianoforte, partita dal Festival D’Automne di Parigi, arrivata alla Triennale Milano, nel Salone d’Onore, per il festival FOG diretto da Umberto Angelini. Cinque ore nelle quali sostare, uscire e/o rientrare nello spazio, attendendo la luce che scandisce con tono diverso il tempo, entrando dalle finestre affacciate sul parco al levarsi delle tapparelle bianche.

ALTISSIME piantane con fari creano sottili e geometriche divisioni del salone, morbidamente segnate dai cambiamenti di temperatura delle luci. Verso le finestre c’è il pianoforte verticale, a terra lo circondano spartiti. Dream è anche una partitura di John Cage. Lascia nell’aria continue risonanze. Passaggi musicali da Bach con Le Variazioni Goldberg a Il Concerto in Sol di Ravel (che bellezza) a Dream di Cage.

Nel Salone d’Onore siamo in tanti. Si entra a piccoli gruppi per volta. Un ciclo di soste di diversa durata. I performer hanno qualità di movimento e di stato dissimili eppure partecipi di un’unità. Si muovono lentamente, gesti infinitesimali, dinamiche sottili, oniriche nella assoluta presenza. Marta Ciappina è quella sconfinata veduta. Matteo Ramponi lo rivediamo in ginocchio, le mani hanno intrecciato quelle di una spettatrice.

Si entra a piccoli gruppi per volta. Un ciclo di soste di diversa durata. I performer hanno qualità di movimento e di stato dissimili eppure partecipi di un’unità.

VALERIO SIRNA accarezza lo spazio, che fluttua sotto il disegno, e poi ci sono Elena Giannotti, Edoardo Mozzanega, Pere Jou. Di ognuno ci resta una immagine, la percezione di uno scarto, di un moto sospeso. Ogni ora una sveglia li chiama intorno al pianoforte. Intonano un canto guidato dal pianista, Davide Finotti.

I MINUTI, le mezz’ore scorrono e man mano ci si accorge di sentirci via via sintonici al tempo dei performer, nella camminata, negli spostamenti, nell’essere disposti al silenzio, alla musica, all’ascolto. Quasi nessun telefonino a fare video. Un piccolo miracolo. All’uscita ogni spettatore riceve in dono il romanzo Dream, scritto da Sciarroni in piena pandemia. Bello portarselo a casa, con la sua storia che si intreccia alla performance, ma che parla anche di un paese senza nome, di una umanità in estinzione, di una notte, di un vedere senza occhi. Di uno strano, visionario, stato di quiete che è quello che lascia la performance.

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