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Come ho trovato il vuoto

Come ho trovato il vuotoPierre Arditi nel Blaise Pascal televisivo di Roberto Rossellini, 1971

Classici del pensiero L’esperienza ontologica dei Pensieri presuppone lo stesso procedimento induttivo delle ricerche di meccanica, fisica e geometria: le Opere complete a cura di Maria Vita Romeo, Bompiani

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 3 gennaio 2021

«Pascal venne col solleone / a casa nostra / in sembianza di lattaio. / Non c’era la bottiglia. / E fece scivolare / sotto la porta di servizio / un breve saluto / scritto con un mozzicone di matita: / “Non ò trovato il vuoto”». Questo divertissement, intitolato La visita di Pascal, in cui si fa riferimento ai vari Scritti sul vuoto allestiti dal filosofo di Clermont-Ferrand, figura nella raccolta Il passero e il lebbroso, licenziata da Leonardo Sinisgalli nel 1970. Il poeta e ingegnere lucano, che tentò di svecchiare la nostra cultura conciliando tradizione umanistica e retaggio scientifico, fu molto affascinato dall’opera di Blaise Pascal sulla quale tornò a più riprese, manifestando un interesse che, nel nostro paese, non è mai venuto meno. Nonostante siano numerose le traduzioni dei Pensieri, nessuno aveva pensato finora di proporre le Opere complete che Bompiani manda ora in libreria, nella meticolosa cura di Maria Vita Romeo («Il pensiero occidentale», pp. XL-3160, € 70,00). Si tratta di un lavoro imponente che propone, con i testi francesi e latini a fronte, le versioni dal filosofo che Nietzsche definì «l’unico cristiano logico», effettuate in maniera precisa e diligente, compresi i trattati di argomento scientifico (Scritti di geometria e di aritmetica, Scritti di fisica, Scritti sulla cicloide ecc.).
Pascal era un enfant prodige che, appena dodicenne, nonostante il padre lo orientasse verso le materie umanistiche e lo studio delle lingue, scoprì da solo, nel 1635, la 32a proposizione del primo libro di Euclide, sorprendendo gli stessi specialisti. Appena qualche mese prima, venne colpito a tal punto dal rumore di una posata contro un piatto di porcellana che decise di redigere un Trattato sui suoni, andato purtroppo perduto. A diciannove anni inventa una machine arithmétique, denominata «pascalina», che, attraverso il moto differenziato di una serie di ruote dentate, permette di effettuare addizioni e sottrazioni. Fondamentali inoltre le sue ricerche sui fluidi. Osserva la curatrice: «La fisica, la geometria, la meccanica, a cui Pascal si dedicò per tutta la vita, gli forniscono infatti continui spunti di riflessione per l’elaborazione dei Pensieri, indubbiamente influenzati dal rigore epistemologico delle scienze matematiche».
Pascal con i suoi lavori di fisica modifica definitivamente la stagione dell’horror vacui. Ma non c’è alcuna contrapposizione fra attività scientifica e indagine filosofica, entrambe presupponendo un analogo procedimento induttivo teso alla risoluzione dei problemi, in cui va ricercata, a dispetto di ogni dogmatismo, la maniera più costruttiva di porre in contatto discipline apparentemente antitetiche. Generalmente infatti si tende a circoscrivere l’esperienza ontologica di Pascal in due momenti pressoché speculari, che si manifestano nell’interesse scientifico cui succederanno, dopo la conversione (o le due conversioni), sollecitazioni di taglio speculativo e teologico. La dicotomia tra ragione e cuore, tra scientismo e fideismo, si concretizza nell’esprit de géometrie (con la variante, meno conosciuta, dell’esprit de justesse) contrapposto all’esprit de finesse. Questa sorta di coincidentia oppositorum si riversa anche nei Pensieri, laddove si parla di «miseria» e «grandezza», due concetti che Pascal considera profondamente correlati, tanto da asserire che «la grandezza dell’uomo è grande, in quanto si riconosce miserabile. Un albero non si riconosce miserabile».
Ma mentre la nozione di «grandezza» risulta meno approfondita nell’economia dei Pensieri, riducendosi a essere sviluppata solo nel capitolo 6, quella di «miseria» si arricchisce di implicazioni variegate, in cui l’autore si serve di sinonimi come bassezza, grettezza, debolezza, nonché delle liasses relative a «Noia» e «Vanità» che abbracciano i capitoli 2-5. Non bisogna tuttavia dimenticare che i Pensieri, usciti postumi nel 1670, furono approntati con il proposito di redigere un’Apologia della religione cristiana, che doveva rivolgersi contro atei e libertins. Annota ancora la curatrice: «Si perviene così alla morale cristiana, la morale perfetta, dove gli opposti coincidono, dove la grandezza e la miseria dell’uomo si spiegano e si conciliano, dove la ragione di matrice aristotelica deve lasciare il posto alla mens intuitiva, la sola capace di comprendere ciò che è incomprensibile, sia a proposito della natura umana sia a proposito della natura divina». Il fine ultimo dell’uomo, equiparato a un «roseau pensant», diviene allora materia di indagine che trova nelle argomentazioni contenute nei Pensieri (si pensi alla celebre «scommessa») dinamiche simili a quelle della dimostrazione scientifica. In tal senso l’intento della presente edizione è quello di offrire un’immagine tesa al recupero dell’unità del pensiero pascaliano ricavata dai suoi procedimenti multidisciplinari, senza arrivare a frammentarne l’opera nelle canoniche suddivisioni riguardanti l’apporto di scienziato, polemista e filosofo. Jean Mesnard scrisse: «La prospettiva di Pascal non è tragica, ma dialettica».
Gli stessi pseudonimi concepiti per le tre opere principali evidenziano che non esiste alcuna potenziale cesura tra di esse: Amos Dettonville usato per i Trattati sulla roulette è l’anagramma di Louis de Montalte, con il quale firma le Provinciali, al pari di Salomon de Tultie, elaborato per il virtuale progetto dell’Apologia. Ma, al tempo stesso, la prosa pascaliana si segnala per quell’eleganza formale già rilevata da Chateaubriand nel Genio del Cristianesimo, laddove scrisse che questo effrayant génie «rese stabile la lingua parlata da Bossuet e da Racine». Negli apparati si ricostruisce la complessa vicenda filologica dei Pensieri, opera incompiuta di cui ci sono pervenute due differenti trascrizioni (qui la lezione accolta, basata sulla Seconde copie, tiene conto dei risultati cui è approdato Philippe Sellier). È stata altresì inserita una tavola di concordanza riguardante la numerazione dei singoli frammenti messa a confronto con quella delle edizioni principali: da Brunschvicg a Sellier e Lafuma, passando per Le Guern e Carena. Con il passare del tempo, e nonostante le indubbie difficoltà di ordine paleografico, si tende a considerare il capolavoro pascaliano come un’opera organica, i cui frammenti costituiscono le multicolori tessere musive atte a comporre un disegno omogeneo, pur nella sua acclarata incompiutezza e nelle ricostruzioni spesso discordanti. La sua imponente architettura non ha niente a che vedere con la metafora del monumento diroccato imposta da certa critica ottocentesca di derivazione romantica.
Le diciotto Provinciali, apparse in volume sotto pseudonimo nel 1657, vennero polemicamente allestite contro la morale dei gesuiti e in favore dei giansenisti di Port-Royal che si rifacevano alla dottrina agostiniana, sull’onda dell’opera del vescovo olandese Cornelio Giansenio, autore del trattato teologico Augustinus (1641). I giansenisti sostenevano che la natura umana è essenzialmente corrotta e, in opposizione ai molinisti, che la grazia è un dono divino che esula dal libero arbitrio. La Chiesa Cattolica considererà tale movimento come eretico e le stesse Provinciali furono messe all’Indice dal Sant’Uffizio. L’idioma semplice e facilmente fruibile («stile asciutto, … senza enfasi» lo definisce Carena), coniugato a una serie di argomentazioni fino ad allora riservate alla lingua ecclesiae, non poteva che indispettire i vertici del clero, anche se alcuni esegeti hanno preferito interpretare l’atteggiamento dell’autore in un’ottica meno vincolata a ingerenze religiose troppo pressanti.
È sicuramente valida l’idea di anteporre ai testi una nutrita sezione di documenti biografici, tra cui spiccano le due versioni conosciute della Vita di Pascal di Gilberte Périer, una delle due sorelle del filosofo, che si segnalano per il tono apologetico («dopo i diciotto anni non aveva passato un giorno senza dolori») e per il fatto che la seconda biografia sia di dubbia paternità. Non mancano scritti occasionali e opuscoli vari, tra cui la Preghiera per chiedere a Dio il buon uso delle malattie (1659), in cui Pascal, con toni misurati e dimessi, descrive il tema controverso delle patologie, augurandosi, rivolto a Dio, «che il vostro flagello mi consoli». Malattia come redenzione, dunque, in quanto «i mali sono “salutari” se preparano alla salus spirituale, alla conversione, perché, attraverso la sofferenza, ci aiutano a distaccarci dal mondo», come sottolinea la curatrice. D’altronde in uno dei Pensieri si legge: «Fra noi e l’inferno, o fra noi e il cielo, non c’è di mezzo che la vita, che è la cosa più fragile del mondo».

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