Cultura

Come esportare la letteratura romena grazie ai traduttori

Come esportare la letteratura romena grazie ai traduttori

Intervista A colloquio con Lucian Dan Teodorovici, fra gli ideatori del festival Filit, in corso a Iasi fino a domenica prossima. «La traduzione è una parte essenziale, è il veicolo più importante dell'universalità di un libro»

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 24 ottobre 2024

Come per tutti i festival letterari, anche la lista degli ospiti di Filit, in corso a Iasi, in Romania, fino a domenica, è lunga (tra gli altri, quest’anno, Abdulrazak Gurnah, Colm Tóibín, Pascal Bruckner, Philippe Claudel). Ma l’aspetto forse più originale della rassegna è il peso dato alla «T» finale della sua sigla, che sta per «traduzione». Ce ne ha parlato alla vigilia del festival Lucian Dan Teodorovici, ideatore di Filit nel 2013 con Dan Lungu e Florin Lazarescu, e noto – oltre che come autore – per la collana Ego.Proza da lui diretta per la sigla Polirom.

Perché l’accento sulla traduzione? E com’è cambiato il festival nel tempo?
La differenza principale è che all’inizio era difficile convincere autori importanti (o i loro agenti) a venire in Romania, in una città di provincia, sebbene ricca di cultura. Ma oggi non è più così, e ce ne rallegriamo. Quanto alla traduzione, è una parte essenziale della letteratura, il veicolo più importante della sua universalità, quindi è normale che i traduttori siano al centro dell’attenzione con tavole rotonde, dialoghi, incontri con gli studenti.
Nel 2004 l’iniziativa «Votate per la giovane letteratura romena» e l’avvio della collana Ego.Proza hanno rivoluzionato la scena culturale del paese. Qual è il suo bilancio oggi?
Credo senza false modestie che quella campagna e la nascita della collana abbiano significato molto: il mercato letterario romeno era degradato, venivamo da due decenni in cui pochissimi autori erano visibili nello spazio pubblico. In tanti che, delusi, avevano smesso di scrivere, mi hanno detto che l’entusiasmo intorno a Ego.Proza li ha spinti a riprendere. E da lì abbiamo cominciato a «esportare» la nuova letteratura romena, presentandoci alle fiere e convincendo editori e agenti letterari che valeva la pena prestare attenzione a quello che pubblicavamo.

Secondo i dati in Romania, come in Italia, si legge poco. Eppure a Bucarest e nelle grandi città le librerie sono numerose e frequentate. Come spiega questa contraddizione?
È vero, nella capitale e nei centri importanti le librerie lavorano bene, ma nel resto del paese se ne trovano poche. Credo però che si legga più di quanto mostrino le statistiche. In Romania il prestito dei libri è in qualche modo istituzionalizzato fin dal periodo comunista e una copia viene letta, oltre che da chi la compra, da amici e conoscenti – non solo per risparmiare, è una consuetudine radicata. Ricordo che anni fa volevo riavere un libro dato in prestito qualche mese prima, ma quando chiesi alla persona a cui l’avevo prestato, mi disse che era da un altro conoscente, e così via altre due o tre volte. Poi recuperai il libro, ma le cose stanno così. E certo, ci sono altre spiegazioni: nell’era di Internet molti libri si scaricano gratis dopo che la copia digitale è «sfuggita» all’editore, e tanti pensano non ci sia niente di male. Ma anche se si legge più di quanto si pensi, non basta.

Il Muro è caduto trentacinque anni fa e dal 2007 la Romania è nell’Unione Europea, eppure la «cortina di ferro» sembra pesare ancora in ambito culturale, soprattutto all’estero.
Per la verità stento a credere che un editore italiano dica: «Non pubblicherò un libro di questo autore perché viene da un paese dell’Est europeo», ma sono anche convinto che quell’editore preferirà un autore americano o inglese o francese o spagnolo, piuttosto che un autore romeno o bulgaro, perché è più facile vendere un testo che proviene da una letteratura forte e consolidata, piuttosto che il libro di un autore magari bravo ma appartenente a una letteratura che offre pochi punti di riferimento. Per quanto sia difficile da accettare, penso sia più che altro una questione di marketing, ma è chiaro che il problema richiederebbe un’analisi più approfondita.

In base ai manoscritti che riceve per Ego.Proza, come valuta la narrativa romena d’oggi? In Italia, molti autori adottano una scrittura un po’ stereotipata, più influenzata dai testi contemporanei di lingua inglese che dagli scrittori italiani del Novecento. Nota qualcosa di simile anche qui?
Non voglio generalizzare, ma la situazione è quella che lei ha notato in Italia. Il successo di un libro oggi si fonda su basi diverse rispetto a vent’anni fa, anche se non ne farei una questione generazionale, perché ci sono ancora molti giovani scrittori che contraddicono questa tendenza. Non so come sarà la nostra letteratura tra dieci o vent’anni, ma la cultura è anche un’espressione del presente e quindi preferisco non parlare in termini di preoccupazione. Credo che la letteratura, l’arte in generale, esisteranno sempre, come esisteranno prodotti, anche culturali, rivolti a un pubblico più ampio.

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