Come don Pippo, la zappa in bici e fare le cose a mano
Ciclostile Tanto tempo fa, per me tantissimo ma quasi niente, c’era un signore che curava la campagna dove eravamo appena arrivati. Si chiamava Pippo. Era orbo da un occhio e veniva […]
Ciclostile Tanto tempo fa, per me tantissimo ma quasi niente, c’era un signore che curava la campagna dove eravamo appena arrivati. Si chiamava Pippo. Era orbo da un occhio e veniva […]
Tanto tempo fa, per me tantissimo ma quasi niente, c’era un signore che curava la campagna dove eravamo appena arrivati. Si chiamava Pippo.
Era orbo da un occhio e veniva con la sua zappa messa a cavalcione della bicicletta.
Uno dei suoi figli era Nello, giocavamo insieme nella terra, nella sabbia e nel canneto accanto, mentre il padre curava la campagna. Pippo, che ora ricordo veniva chiamato don Pippo, le sapeva tutte e non diceva quasi niente. Ogni cosa che toccava fioriva, sbocciava, sembrava quasi essere una pianta, da quanto stava zitto e da quel che tirava fuori. Ulivi mezzi morti per la salsedine che facevano olive, zucchine, pomodori, melanzane, la portulaca lasciata in pace.
Orbo e silente ma ancora lo ricordo, lui e soprattutto la sua zappa portata su una bici nera con i freni a bacchetta.
Non credo che avesse mai studiato alcunché, forse neanche parlava italiano, solo quel siciliano lì, quello di zona. Magari non era neanche nato nell’isola ma da qualche altra parte, me lo ricordo uguale ai fellah egiziani, identico proprio.
Lo stimo immensamente di più di qualsiasi persona oggi o ieri o domani guidi il Fondo monetario internazionale, la Banca centrale europea, l’Acea, la Fca, il Centro Autopromotor, qualsiasi essere che faccia vertice senza mai aver usato le mani e il cervello attaccato a esse, che sono la parte visibile del cervello. Ce n’è pieno di gente così, nelle fasce d’élite è tutto un conformismo borioso e saccente che, a quanto pare, non ha dato i risultati che la gente umile, quella che non ha studiato pur sapendo fare le cose che sa fare, aspettava dai sapientoni.
Quel signore, don Pippo non ha mai cercato di non essere altro che sé. Non si è mai fatto passare per meno o per più: era quello che era.
Ed era – credo sia ormai morto, sono passati tanti anni, ma la prossima volta che vedo Nello glielo chiedo, anche se non mi va, l’ho visto qualche mese fa e mi imbarazza chiedere se don Pippo sia ancora vivo – una persona esattamente sua, non isolata ma precisa, adeguata a sé e in perfetta armonia col circostante, senza particolari ubbìe.
Questo racconto, apparentemente incongruo qui, mi è venuto fuori all’improvviso pensando al concetto dello «sporcarsi le mani». Mani sporche di attività etica, non certo di sangue o altre attività genericamente inaccettabili per una persona etica. Il creare un presente migliore del passato in vista del futuro. Un lavoro da contadini: far crescere le condizioni per star meglio e dare un futuro ai figli di tutti, non solo ai propri. E’ questo che facciamo da tanti anni quando parliamo del modello di mobilità che abbiamo trovato alla nostra nascita: proviamo a mettere mano alle cose che non vanno e farle diventare cose che vanno. Almeno questa è l’intenzione.
E’ per questo che, partendo dal basso, abbiamo convocato tutti coloro interessati al cambiamento del modo di stare in strada, il 28 aprile a Roma, ai Fori imperiali, dalle 16: mostrare la semplicità in atto, la mobilità elevata alla sua essenzialità: spostare le persone, non i mezzi, questo è l’obiettivo.
Stiamo costruendo questa «bicifestazione» a mano, senza mezzi, con piccole donazioni per pagare locandine, flyer e sito (www.bicifestazione.it), chiamando realtà più strutturate di noi, cercando di coinvolgere chi possa rendersi utile. Con la nostra zappa a cavalcione della bici. Sono ragionevolmente certo che don Pippo capirebbe e probabilmente approverebbe, sempre in silenzio ma con quel suo sorriso sghembo e sdentato e l’unico occhio a guardare bene, con attenzione.
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