L’Università come ai tempi di Gelmini e Tremonti: tornano i tagli lineari
Finanziamento ordinario Gli atenei adesso rischiano il default e i ricercatori il precariato eterno
Finanziamento ordinario Gli atenei adesso rischiano il default e i ricercatori il precariato eterno
A dispetto degli annunci dell’ultimo anno e mezzo di governo, la ministra dell’Università Anna Maria Bernini ha deciso di inserirsi pienamente nella scia inaugurata dal duo Gelmini e Tremonti in epoca berlusconiana e ha riaperto la stagione dei tagli lineari alla ricerca pubblica. La bozza di decreto sui criteri di distribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario delle Università, inviata nei giorni scorsi agli organi accademici (Crui, Cun e Cnsu) per i pareri previsti, conferma i timori del comparto della conoscenza che già nello scorso anno denunciava l’esiguità delle risorse, specialmente in rapporto all’aumento dei costi che gravano sul sistema, anche a causa dell’inflazione.
Si tratta di 190 milioni in meno alla “quota base” oltre a 100 milioni di tagli alla “quota premiale” e a una inversione della “quota di salvaguardia” (meno 4 per cento sull’anno precedente) che vuole dire, come denuncia l’Adi – Associazione Dottorandi italiani, che «il finanziamento per ogni singola università potrà diminuire da un anno all’altro». «Dai 9,2 miliardi del 2023 si passa ai 9 miliardi del 2024 – spiega Davide Clementi dell’Adi, rappresentante nel Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari e nel Consiglio Universitario Nazionale – l’unico aumento previsto è per coprire gli aumenti salariali del personale». Com’è noto, l’Italia occupa già il posto più basso nella classifica dei paesi Ocse sul finanziamento della formazione terziaria, spendendo lo 0.55 per cento del Pil contro una media Ocse dello 0.93%. Questi ulteriori tagli arrivano, come nota l’Unione degli Universitari, «mentre la Presidente del Consiglio conferma l’obiettivo di incrementare fino al 2 per cento del Pil le spese miliari».
Secondi i calcoli della Flc Cgil non si parla solo di un taglio nominale di 200 milioni, ma di ben 500, se misurato sulle voci dell’anno precedente. Per il sindacato «particolarmente odioso risulta quello sulle risorse per la valorizzazione del personale tecnico amministrativo e bibliotecario previsto dalla legge di stabilità del 2022» che sarebbe dovuto servire a diminuire la differenza retributiva dei dipendenti universitari rispetto agli altri lavoratori pubblici. Se gli assunti se la passeranno male, ancora peggiore sarà la situazione per i ricercatori, già penalizzati dalla bozza di riforma sul pre ruolo che estende il tempo massimo di precariato. La combinazione tra le due cose, dicono dall’Adi, sarà esplosiva per la gran parte dei precari dell’università, che potrebbero essere espulsi dal settore della ricerca a causa di una stabilizzazione impossibile. Anche per il Pd il futuro della ricerca pubblica è ben più che fosco dal momento che questo ulteriore definanziamento porterà, per il responsabile università Alfredo D’Attorre, «una parte degli atenei pubblici al default e un’altra parte consistente al blocco totale del turnover».
Per Clementi «la situazione è peggiore di quanto già si intuisce perché è drogata dal Pnrr. Quando questa bolla scoppierà sarà evidente che Bernini e Meloni hanno condannato l’università alla chiusura, realizzando il grande disegno neoliberista che vuole depotenziare l’istruzione superiore per evitare che anche l’operaio abbia il figlio dottore, parafrasando la nota canzone». Un disegno di natura politica che è evidente anche per la Flc Cgil, «questo governo vuole creare una università piccola e definanziata per i pochi che la frequentano e per pochi che ci lavorano, spesso in condizioni di sfruttamento. Per chi se lo potrà permettere sono a disposizione famose università private, una vita da fuori sede con costi enormi, e per chi non può c’è la formazione di serie B garantita dalle università telematiche».
Intanto gli atenei, da nord a sud, cominciano a mobilitarsi, anche se la stagione estiva non agevola. La “Lettera aperta alle Istituzioni competenti in materia di Istruzione e al Paese” che sta circolando in questi giorni ha già raccolto oltre 600 firme di docenti a tempo indeterminato, assegnisti di ricerca, dottorandi, studenti e personale tecnico amministrativo. «Servono risorse per garantire continuità nel reclutamento, dignità alla figura del docente, un’istruzione di qualità ed un diritto allo studio che sia davvero tale».
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