Siamo un paese di disadattati climatici. Non abbiamo ancora un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e di conseguenza le risorse per attuarlo non ci sono. Ogni evento estremo ci coglie impreparati e si abbatte su territori vulnerabili, inadatti a reggerne l’impatto, privi delle opere necessarie a prevenire i rischi maggiori. Il carico di vittime e distruzione del territorio di Senigallia, nelle Marche, dovrebbe riportare urgentemente il tema dell’adattamento al centro dell’agenda politica. Però è proprio «la mancanza di un senso di urgenza», come sottolinea il VI Rapporto sul clima dell’IPCC pubblicato lo scorso aprile, tra gli ostacoli alle misure di adattamento, in particolare nelle regioni del sud Europa, come se a prevalere fosse un rassegnato fatalismo.

COSA SIA NECESSARIO E URGENTE cominciare a pianificare sta ben scritto nelle 200 pagine della Strategia italiana di adattamento (si trova sul sito del Ministero per la transizione ecologica), un documento elaborato dalla comunità scientifica nel 2014, approvato dalla Conferenza stato-regioni, e adottato l’anno successivo. Sulla base della Strategia nel 2018 fu redatto il Piano nazionale di adattamento che è tuttora invischiato in un iter di approvazione di cui non si vede una fine. Il Piano fornisce un’analisi climatica ad elevata risoluzione per l’Italia, una valutazione degli impatti e dei rischi per orientare le priorità e quindi le risorse da stanziare, creare una cabina di regia che monitori gli interventi e favorisca il coordinamento tra il governo centrale e le istituzioni nei territori, perché le azioni da intraprendere, su varie scale, sono necessariamente locali, città per città, quartiere per quartiere, strada per strada, fiume per fiume.

L’EUROPA CE LO CHIEDE DAL 2013, da quando esorta gli stati membri a «rivalutare il concetto di vulnerabilità, rivedere le soglie critiche di rischio a livello nazionale e misurare le proprie capacità di resilienza agli effetti dei cambiamenti climatici attraverso politiche basate su un approccio locale e un forte coinvolgimento degli attori socio-economici».

«L’adozione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici non è più rinviabile – ci dice Donatella Spano, docente di Agro-meteorologia all’Università di Sassari, advisor del Cmcc (Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici), autrice di un report sull’analisi del rischio climatico in sei città italiane – Ora il Piano si trova nella fase di Valutazione ambientale strategica e in parte di aggiornamento, ma non ha ancora completato il suo iter. D’altra parte, bisogna dire che in Italia ci sono iniziative a livello locale che hanno sviluppato piani e azioni di adattamento, quindi abbiamo alcuni territori più avanti, più preparati, altri meno. Però un Piano nazionale è quanto mai necessario perché queste azioni diventino strutturali e integrate a tutti i livelli delle politiche pubbliche, così come nei piani della Protezione Civile. Non possono essere episodiche, o lasciate alla sensibilità di un singolo amministratore. Bisogna considerare la necessità che ogni singolo intervento che si fa sul territorio deve essere dimensionato al nuovo clima. Noto che la sensibilità sta crescendo da parte delle pubbliche amministrazioni, ma non è sempre chiaro il tipo di governance e di allocazione delle risorse. Ci vorrebbe maggiore chiarezza».

IL PIANO NON ANCORA APPROVATO contiene più di 300 azioni ritenute prioritarie relative ad interventi da attuare per tutelare le risorse idriche e prevenire il dissesto idro-geologico, per la gestione degli ecosistemi terrestri come le foreste in caso di incendi, ma anche per l’agricoltura, il turismo, la sanità. «Per ogni settore definire le azioni prioritarie di un Piano significa avere un capitolo che alloca le risorse – specifica Spano – noi lavoriamo anche con gli economisti e le loro analisi ci dicono che le azioni di adattamento sono sempre un buon investimento e i costi di adattamento di un ordine di grandezza inferiore ai potenziali danni. Il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini è ben consapevole dei possibili impatti del nuovo clima sul sistema dei trasporti e ha pubblicato un rapporto su questi temi».

IL PIANO DI ADATTAMENTO CHE ANCORA non c’è dovrebbe servire inoltre a stimolare un dibattito pubblico sugli interventi da pianificare a lungo termine: se molto si può fare con azioni locali a basso costo, nell’area Mediterranea, con la temperatura media già aumentata di 1,5° C rispetto al periodo pre-industriale, saranno necessarie opere pubbliche da mettere in cantiere per i prossimi decenni.
Nel breve periodo, invece, sono urgenti le azioni di sensibilizzazione, formazione e informazione alla cittadinanza affinché sia resa consapevole e partecipe delle azioni di adattamento. «Assistiamo a tragedie come quella avvenuta nelle Marche anche perché il più delle volte le persone non sono preparate, vengono prese dal panico, non si rendono conto dei rischi che corrono. Un’azione di sensibilizzazione non necessita di grandi risorse e rappresenta uno strumento che può davvero salvare molte vite», dice Spanu.
Sulla formazione di amministratori e tecnici lavora il dipartimento Tesaf (Territorio e sistemi agro-forestali) dell’Università di Padova, partner del progetto europeo Beware contro il rischio di alluvioni e allagamenti in aree rurali e urbane che ha avuto come capofila il comune di Santorso Vicentino (vedi articolo a fianco).

«Gli interventi di adattamento nei territori a rischio alluvione sono ben noti da tanti anni in ambito accademico – spiega Francesco Bettella, ricercatore del Tesaf – e vanno divulgati con interventi di formazione. Noi all’inizio davamo molte cose per scontate, ma ci siamo resi conto, incontrando tecnici e professionisti, che non era il caso. In generale su questo fronte c’è molto da fare. Un Piano nazionale di adattamento servirebbe anche per individuare soluzioni adattabili e linee guida che portino a normative regionali da applicare a livello locale».

Come la modifica del regolamento edilizio che è stata messa a punto dal comune di Santorso che obbliga a semplici misure di adattamento come, per esempio, dotarsi di una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana o di serbatoi nel caso di nuove costruzioni o ristrutturazioni. «Questi sono piccoli interventi che difficilmente andranno a risolvere i problemi dei grandi fiumi – specifica Bettella – ma che aiutano a scongiurare i disagi sia delle piogge intense sia dei periodi di siccità, con duplice ricaduta positiva».

SARÀ BENE INTROIETTARE QUANTO PRIMA la nozione di adattamento al clima che è cambiato a tutti i livelli, perché diventi una forma mentis. «La comunità scientifica lo ha ribadito nella lettera in cui poche settimane fa ha chiesto di mettere la crisi climatica in cima all’agenda politica – ricorda Spanu – in questo senso servirebbe in Italia anche una legge sul clima in cui ci possano essere azioni vincolanti. Ci sono alcune proposte in merito. Credo che il nuovo governo dovrà confrontarsi con questo tema».