Visioni

«Coma», nel limbo oscuro dell’adolescenza

«Coma», nel limbo oscuro dell’adolescenzaPatricia Coma in una scena di «Coma»

Cinema Dal 10 al 12 luglio in sala il film di Bertrand Bonello

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 luglio 2023

Cinema stratificato, complesso quello di Bertrand Bonello: sguardo raggelante (ma mai cinico), profondante sulla contemporaneità, sui soggetti che vi si muovono, a metà tra la danza e lo spasmo cacofonico, scorbutico, come il Bertrand (Amalric) di quel film bellissimo che è De la Guerre. Ecco, i soggetti e i loro gesti: il senso profondo di questa azione, di questa inerzia tende a sfuggire nei film di Bonello, tutti concentrati a mostrare il problema (irrisolvibile) dell’esistenza, la complessità (l’enigma) delle cose, l’incertezza degli eventi, attraverso il prisma dei punti di vista, l’eterogeneità dei materiali, la diversificazione – anche al limite contraddittorietà – dei segni. Che è quello che accade nel suo ultimo Coma, visto al Festival di Berlino dell’anno scorso, quando ancora erano visibili e tangibili ovunque i segni dell’emergenza per il Covid: le precauzioni divenute fobie, ossessioni; l’incapacità di uscire del tutto dalla logica della contenzione; l’assuefazione ai dispositivi video come strumenti residui di interrelazione tra le persone.
Ora Coma arriva in sala per tre giorni, a partire dal 10 luglio, grazie alla distribuzione di Wanted, occasione per tornare a riflettere su uno dei momenti più drammatici della storia, che il cinema odierno, mi pare, tende a rimuovere dall’immaginario o a raccontare con una certa riluttanza. In effetti se di primo acchito si pensa a film a tema covid, film che però abbiano una certa congruità argomentativa ed estetica, ne vengono in mente pochi: sicuramente il film di Radu Jude Bad Luck Banging or Loony Porn e poi Giulia di Ciro De Caro in cui campeggiano mascherine, farmacie centripete, test antigenici e amuchine.

Viaggio nella mente di una diciottenne, durante la pandemia

MA “COMA” è senz’altro il film che va più a fondo nell’esame della pandemia, sondando la dimensione psichica alla prova dell’isolamento, della solitudine coartata: un repertorio di immagini psicotiche prodotte dalla mente della protagonista che costituiscono la materia composita, sonnambolica del film. Per cui Coma non è solo il nome di una conduttrice di video sul web (Patricia Coma), oscillanti tra esoterismo e proposte commerciali, tra le proprietà mesmeriche di un aggeggio a colori luminosi (il Rivelatore) e le previsioni del tempo, delle temperature che arrivano anche ai sessanta gradi nel sud della Francia (sono le condizioni della pandemia, gli effetti dei cambiamenti climatici) ma è proprio la dimensione comatosa, limbica in cui vige il film, che sembra quasi emanciparsi dalla mente che l’ha generata e sostanziarsi in quanto scenario autonomo, concreto, come un un’escrescenza di materia protrusa dalla psiche, il tumore che fu di Videodrome.
E c’è in effetti, nella dizione e nelle posture come ipnotizzate di Patricia Coma, e nel côté che l’inquadra, l’avvolge, qualcosa dell’O’Blivion cronenberghiano, un che di sacerdotale che sacralizza lo schermo, questa volta quello del computer, specie di oblio due punto zero, un ecosistema sonnambolico in cui la ragazza si perde. È il sogno di una giovane – sogno di giovinezza – divenuto incubo, congerie di apparizioni e ossessioni, che è ciò che si vede nel film attraverso una stratificazione, compenetrazione, contraddizione di livelli narrativi, materiali audio-video disparati, punti di vista incerti sedimentatisi in una claustrofobia in 4:3.

DA UNA TORBIDA, lynchiana telenovela di bambole, ai video in bassa risoluzione del prologo, ai ritrovi telematici con le amiche dove infuria all’improvviso un’ombra assassina, ai programmi di Patricia Coma, fino allo sguardo quadripartito su un monitor di misteriosi sorveglianti e ai lemuri che frequentano le notti oniriche dentro boschi di tenebra; l’incubo, l’esperienza psicotica della ragazza reclusa si dispiega sotto i nostri occhi. E ciò nonostante l’ammonimento di Deleuze che risuona in un bianco e nero granulare affermando la necessità di non farsi prendere dai sogni degli altri. In questi sogni altrui si diventa personaggi, prigionieri e non si dispone più del libero arbitrio. Coma è la lotta di questa ragazza nella selva di immagini inquiete, di segni che l’assediano, dentro il romanzo allucinato della contemporaneità, nel tentativo di resistere e mantenere la propria libertà.

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