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Colum McCann, una ordinata fantasmagoria per il lutto

Colum McCann, una ordinata fantasmagoria per il luttoShai Kremer dalla serie «Falling Empires», 2011

Scrittori irlandesi Alludendo fin dal titolo, «Apeirogon», all’eterna tensione di ciò che è senza numero e inconcludibile, McCann segue le storie di due personaggi, sui versanti del confine arabo-israeliano: Feltrinelli

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 13 giugno 2021

Una motocicletta sfreccia su un’autostrada in Cisgiordania, verso la città di Beit Jala: alla guida Rami Elhanan, sessantasette anni, figlio di un sopravvissuto ad Auschwitz, gerosolimitano dalla nascita. È un graphic designer, ha una moglie e quattro figli, segue un inossidabile principio di realtà, continuamente oscillando tra cadute nel banale e pragmatismo. Estraneo a ogni ideale, non ha opinioni politiche e realizza messaggi di propaganda per chi glieli richiede, siano falchi o colombe, fautori del più aggressivo nazionalismo o pacifisti, sindacalisti, generali dell’esercito o kibbutznik. La traiettoria rettilinea dei suoi giorni scarta bruscamente quando la figlia quattordicenne Smadar rimane vittima di un attentato terroristico nel centro formicolante di Ben Yehuda Street, a Gerusalemme Ovest. Oltre a lei, saltano in aria alcune amiche e i due palestinesi suicidi.

Lungo il Muro
Nel villaggio palestinese di Anata, nella Cisgiordania sotto occupazione israeliana, circondato e in certi punti attraversato dalla Barriera di separazione, anche nota come Muro della discordia, abita Bassam Aramin. Ha una moglie e sei figli, un passato da militante di Fatah e guerrigliero dell’intifada, alle spalle lunghi anni di carcere duro nella prigione israeliana di Beersheba. Anche la sua vita svolta improvvisamente quando la figlia di dieci anni Abir è uccisa da un poliziotto israeliano di frontiera che le spara addosso una pallottola di gomma mentre esce da scuola. Le vicende di Rami e Bassam sono vicine, quasi addossate nella geografia, sideralmente distanti nelle implicazioni politiche, accomunate da un unico dolore. A partire da questo grumo irrisolto di sofferenza, i due stringono un legame, entrano in Parents’ Circle, associazione di genitori ebrei e palestinesi che hanno perduto i figli a causa del conflitto. Saranno tra i fondatori dell’organizzazione israelo-palestinese dei Combattenti per la pace, impegnati in un progetto di convivenza pacifica che rifiuta la violenza, prevedendo che Israele abbandoni i Territori occupati, che abbia termine l’espansione delle colonie, che venga fondato uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est.

Forma ibrida
Intorno a queste storie, reali e dense di attualità, si svolge Apeirogon di Colum McCann, uscito di recente da Feltrinelli nell’ottima traduzione di Marinella Magrì (pp. 511, € 22,00). Romanzo ibrido a detta dello stesso autore, dove l’invenzione contamina la realtà e viceversa, ha una forma mista, tra narrazione, saggio e album: Apeirogon è, né più né meno, quanto il titolo dichiara e sottende, ovvero una forma geometrica ideale, un poligono con infiniti lati. Il nome porta in sé l’eterna tensione e l’illimitatezza di ciò che è senza numero e per sua stessa struttura inconcludibile. Rincorrendo questa figura astratta ai limiti della linearità euclidea, quasi una chimera more geometrico demonstrata, l’autore irlandese svolge in cinquecento pagine – nell’ampiezza tipica delle opere che si arrotondano come un universo in sé conchiuso – un racconto scansionato in sezioni numerate, prima ad aumentare e poi a diminuire, frazionandosi in schegge di narrazione brevi e brevissime e impedendo, di proposito, la distensione dello sguardo.

In questo andamento sussultorio, singhiozzante, a tratti rapsodico, scandito in rapide prese di respiro che velocizzano la lettura fino a una sorta di apnea del pensiero, McCann fa cadere le linee tematiche della storia, dove il piano della vita di Rami e di Bassam interseca, geometricamente e ai limiti del figurabile, altre costanti, veri e propri leitmotiv che si mostrano al lettore a ritmo sostenuto, quasi fossero ossessioni: il volo degli uccelli, la storia e la letteratura medievale del Medio Oriente, la sua geografia tra il reale e il favoloso, le preesistenze europee con il basso continuo dello sterminio ebraico, la fabbricazione di proiettili, le distruzioni atomiche e nucleari, l’ultimo pranzo di François Mitterrand, la storia di un missionario pazzo, l’occhio e la sua complessa anatomia, altre suggestioni borgesiane a rendere il tracciato ancora più puntiforme e nebulizzato.

Apeirogon è un’ordinata fantasmagoria, più vera del vero, insieme articolata e adamantina, costruita su numeri che prima aumentano fino a culminare in una sorta di «punto zero narrativo» – coincidente con le ampie interviste in presa diretta ai due protagonisti, autentica chiave di volta della storia – per poi decrescere restituendo un totale aritmetico di milleuno, a richiamare scopertamente la raccolta orientale. Una finissima cucitura di associazioni, iterazioni, parallelismi, diramazioni, variazioni su cui si innesta, secondo i modi consolidati del montaggio letterario, altro materiale testuale: slogan, voci Wikipedia, testimonianze oculari, dettagli eccentrici, quasi erratici, scritture d’archivio, stralci di trattati, immagini, tracciati acustici, statistiche, spazi vuoti.

Improvvisi accidenti
Il tutto – qui la differenza rispetto al disordine costitutivo di molti romanzi postmoderni – è sottoposto a un nitido principio d’ordine, non digressivo né divagante, bensì sezionante e geometrico. Un andamento che interrompe le linee in fieri, capace di articolarsi e moltiplicarsi senza impazzire. Apeirogon – è stato detto da più parti – è un libro «caleidoscopico»; ma questo non basta a descriverne la natura. I continui cambi di prospettiva, l’erosione della cronologia, i salti temporali, in avanti o all’indietro, che attraversano la narrazione a riquadri numerati sono tanto più netti in quanto contrastano con le leggi – antiche, asimmetriche per definizione e più interne rispetto alla limpida struttura formale – del caos e della casualità. Gli accidenti irrompono all’improvviso nelle vite dei protagonisti, tracciando la linea comune del dolore privato e speculare dei due padri, che insieme all’amicizia che ne deriva fornisce il collante per questo epos in frantumi, a mostrarne l’elemento nucleare. A disegnare cioè – con le parole, più volte citate nel libro, di una lettera di Freud a Einstein – «una comunità di sentimento e una mitologia delle pulsioni».

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