Coloni israeliani: «È tutto nostro, mai uno Stato palestinese»
Piano Trump I "settler" vogliono l'annessione a Israele di tutta la Cisgiordania occupata nel 1967 e contestano la possibile creazione di un mini Stato di Palestina prevista dalla soluzione proposta da Donald Trump, anche se privo di sovranità reale.
Piano Trump I "settler" vogliono l'annessione a Israele di tutta la Cisgiordania occupata nel 1967 e contestano la possibile creazione di un mini Stato di Palestina prevista dalla soluzione proposta da Donald Trump, anche se privo di sovranità reale.
Non solo i palestinesi e i loro (pochi) alleati si battono contro il piano Trump, madre del progetto di annessione unilaterale a Israele di un 30% di Cisgiordania che il premier Benyamin Netanyahu vorrebbe avviare il primo luglio. Una levata di scudi contro l’Accordo del Secolo, così come è nota la proposta fatta dal presidente Usa, viene dai coloni israeliani. Per motivi opposti a quelli dei palestinesi. Questi ultimi contestano un piano palesemente finalizzato a relegarli in bantustan. Secondo i coloni la Palestina storica non è altro che la biblica Eretz Israel (la Terra di Israele) e appartiene solo agli ebrei. E la popolazione indigena, i palestinesi, non ha alcun diritto su di essa. Per questo centinaia di coloni e attivisti israeliani di estrema destra hanno lanciato una campagna contro il piano Trump e per impedire che sia costituito uno Stato palestinese seppur privo di sovranità reale e sotto il controllo di Israele.
Il nome della campagna «È tutto nostro» non lascia spazio ad interpretazioni. Prevede tre fasi. La prima, già in corso da giorni, vede centinaia di «giovani delle colline» – coloni poco più che adolescenti noti per le loro scorribande nei villaggi palestinesi e per la creazione di avamposti coloniali – e studenti delle scuole religiose più nazionaliste, distribuire migliaia di volantini e affiggere manifesti lungo le strade della Cisgiordania occupata che mettono in guardia contro «il pericolo della divisione di Eretz Israel». La seconda prevede raduni di protesta. Nella terza dovrebbero sorgere altri avamposti anche, avvertono i coloni, nelle zone B e C della Cisgiordania amministrate dall’Anp del presidente palestinese Abu Mazen. L’obiettivo è superare i confini attuali degli insediamenti coloniali e stabilirsi in quei pezzi di territorio cisgiordano che verrebbero lasciati ai palestinesi.
«Siamo di fronte a una sfida e a una opportunità. Se la proposta di Trump ci assegna il 30% del territorio, noi diciamo che anche il 70% ci appartiene, perché è tutto nostro», spiega ai giornalisti che vanno ad incontrarlo Yedidya Shapira, 25 anni, della colonia di Beit El e promotore della campagna «È tutto nostro». Shapira rivela che nei mesi scorsi sono state effettuate «esplorazioni» per stabilire su quali terreni palestinesi saranno create le «nuove comunità», con o senza l’approvazione del governo israeliano.
Un’altra campagna, caratterizzata da grandi manifesti di Netanyahu e Trump con la scritta «Sovranità – Fallo nel modo giusto!», è guidata da David ElHayani, presidente di Yesha, il consiglio che racchiude le colonie ebraiche in Cisgiordania. ElHayani è insediato nella Valle del Giordano, il territorio che Netanyahu nelle ultime due campagne elettorali ha promesso di annettere a Israele poiché, dice, rappresenta «il confine orientale di Israele». ElHayani perciò dovrebbe essere soddisfatto degli sviluppi che si annunciano dopo il 1 luglio. Invece è a capo della protesta più dura contro il piano Trump. «Non accetteremo mai la creazione di uno Stato palestinese», avverte il capo dei coloni che ha dietro di lui quasi 140 insediamenti. Sarebbero solo una dozzina le colonie che appoggiano senza riserve il programma del premier e il piano Trump. Netanyahu ha promesso che non darà mai il suo consenso alla nascita dello staterello palestinese. ElHayani non si fida ed esorta il governo: «Che Israele estenda la sovranità legale su tutta la Cisgiordania, controlliamo già tutto il territorio, il piano Trump ci crea solo inutili problemi».
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