Colombia, il piombo di Santos sui colloqui di pace
Colombia Dopo l’uccisione di 11 soldati, sono ripresi i bombardamenti contro le Farc
Colombia Dopo l’uccisione di 11 soldati, sono ripresi i bombardamenti contro le Farc
Piombo sul processo di pace in Colombia. Dopo l’uccisione di 11 soldati, nel Cauca, il presidente Manuel Santos ha ordinato di riprendere i bombardamenti contro la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie (Farc). I movimenti sociali e la sinistra chiedono un cessate il fuoco bilaterale fin dall’inizio delle trattative di pace, in corso all’Avana dalla fine del 2012.
Una decisione che il neoliberista Santos ha sempre rifiutato di prendere e che – ha dichiarato ora – si darà solo come conseguenza di un accordo serio, definitivo «e verificabile» sulla risoluzione del conflitto. Il portavoce delle Farc, Pastor Alape, ha invece sostenuto che «i fatti derivano dall’incoerenza del governo». Santos, infatti, continua a inviare i soldati nelle zone controllate dalla guerriglia, nonostante questa abbia dichiarato una tregua unilaterale, mantenuta malgrado le pesanti perdite subite nel frattempo. A lanciare siluri dietro le quinte, c’è l’estrema destra guerrafondaia di Alvaro Uribe, grande sponsor dei paramilitari e ora acerrimo nemico del suo ex ministro della Difesa, Manuel Santos. Un copione, purtroppo, già visto in oltre cinquant’anni di conflitto in Colombia.
Ogni volta che si apre uno spiraglio di trattativa, l’apparato politico e militare che governa l’arena politica manovra per farlo fallire. È accaduto durante il governo di Belisario Betancur, quando l’esercito organizzò una provocazione nel dipartimento Caqueta e portò alla sospensione del dialogo. Si è ripetuto durante i negoziati avviati tra il 1998 e il 2002 nel Caguan, quando l’allora presidente Andres Pastrana decise di sospendere le trattative a causa del sequestro di un senatore (un rapimento considerato «anomalo»). Un altro casus belli si è verificato l’anno scorso, quando un generale a cinque stelle si è addentrato disarmato in una zona controllata dalla guerriglia, è stato sequestrato, ma subito liberato.
Quali siano le forze che si oppongono a un vero cambiamento in Colombia e quale ferocia abbiano impiegato per impedirlo, è testimoniato anche da oltre 800 sentenze e più di 3.000 detenuti per i cosiddetti «falsi positivi»: omicidi di persone disarmate – sindacalisti, attivisti o marginali – commessi da militari o polizia e fatti passare per guerriglieri all’insegna della «lotta al terrorismo».
La guerra sporca contro l’opposizione sociale ha alimentato il business della sicurezza e i lauti finanziamenti erogati per questo dagli Stati uniti e garantiti dalle basi Usa nel paese. Domenica scorsa, durante un incontro con le vittime della repressione, il Procuratore generale Eduardo Montealegre ha fatto sapere di aver messo sotto inchiesta per i «falsi positivi» 22 generali e oltre 5.000 funzionari di polizia. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, circa 300 civili sono stati assassinati dai militari colombiani, molti dei quali hanno ricevuto encomi e decorazioni per aver eliminato pericolosi «terroristi». Il conflitto armato e lo scontro sociale, in Colombia, hanno provocato quasi 5 milioni di sfollati e oltre 600.000 morti. I comitati delle vittime hanno partecipato ai dialoghi dell’Avana, che si tengono sotto l’egida della Norvegia e del Venezuela.
E adesso, per evitare una nuova escalation militare, le organizzazioni popolari propongono una Commissione di alto livello che garantisca il cessate il fuoco bilaterale.
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