Va assegnato alla lettura, allo svago o a che cos’altro il tempo passato a sfogliare cataloghi di libri e a frugare tra titoli, numeri, descrizioni? Si può forse definire tal atto come una lettura che prepara alla lettura. Ma può essere anche una lettura che predispone alla collezione o alla storia del libro come oggetto, prodotto diffuso e venduto. Per uno qualunque di questi motivi, dentro il catalogo è di fondamento la collana: è della collana che come lettori si finisce per fidarsi, più o meno. Esempio ne è che poco i lettori di poesia fuoriescono da quattro o cinque collane di spicco, anche quando tale spicco sia dovuto, magari, più alla storia cumulata che al presente (questione che, forse, riguarda proprio la poesia e i poeti e non solo il versante editoriale): lo «Specchio» Mondadori, la «verde-oliva» Garzanti, la «bianca» Einaudi hanno giocato e giocano un ruolo importante, anche considerate varie collane fiorite con qualche notevole risultato. Altro esempio è che raramente i collezionisti fuoriescono dalle collane di predilezione: le numerate eccezioni sono date da imprese fortemente segnate da una specifica aura, al modo delle edizioni di Piero Gobetti.
Gian Carlo Ferretti, esperto conoscitore di editoria e di letteratura contemporanea, e una più giovane studiosa, Giulia Iannuzzi, forniscono adesso Storie di uomini e di libri L’editoria italiana attraverso le sue collane (minimum fax, pp. 320, euro 13,00): il titolo descrive il volume, che intende le collane selezionate come identità delle case editrici, e intende il degradarsi delle collane a generici contenitori come segno del degrado dell’editoria. Una premonizione, a detta degli autori, è, nel 1968, la fusione di varie collane narrative mondadoriane nell’unica di «Scrittori italiani e stranieri» (constatato che altri scrittori non esistevano né esistono, sarebbe bastato semplicemente «Scrittori»). Poi, tra anni settanta e ottanta, arriva lo smarrimento della funzione collana d’autore – anche «formativa» – a vantaggio della ricerca di più o meno consistenti casi editoriali (da dove, anche, la fine del catalogo come forma permanente della casa editrice, con la controtendenza dell’Adelphi): si passa dalla politica d’autore alla politica del titolo, se politica è.
Un recensore di lungo corso diceva, tempo fa: negli anni sessanta leggevi e, uscendo e scambiando opinioni, ti accorgevi che tutti stavano leggendo le stesse cose. Oggi leggi e ti accorgi che ognuno sta leggendo cose diverse. Non si sa con chi confrontare opinioni. Tanta offerta sembrerebbe una ricchezza e non lo è: l’editoria, verrebbe da dire, è diventata una fabbrica dove, per non lasciar mai spegnere l
I giudizi, compresi quelli aggiunti qui in recensione, meriterebbero discussione, come si dice, articolata. Ma Storie di uomini e di libri, in quanto nato da una buona idea, è anche un libro che invita al viaggio nell’esperienza comune a tanti lettori maturata in qualche decennio: un album dei migliori anni della nostra vita. Così, sfogliando le pagine e andando avanti e indietro nelle quarantacinque schede relative alle collane elette a rappresentare quel che il titolo indica, ogni tanto viene da esclamare: «Toh, chi si rivede!»; viene voglia di alzarsi a salutare qualche vecchio venerando; o di darsi da fare alla ricerca di chi deve essersi smarrito perché non si vede, pur andando su e giù molte volte.
Da lettori e occasionalmente da piccoli collezionisti, o semplicemente per mania di completezza, abbiamo dunque eletto a compagne alcune collane: l’eleganza di certe copertine bianche (che so, i «Supercoralli» o i «Millenni» Einaudi, o la «Nue» bordata di linee rosse) e la pelle scura con filettature o i vari blu delle collane ammiraglie (i «Classici» Mondadori, poi i «Meridiani», o i libri della «Spiga» e dell’«Orsa» presto dismessi, così come la «Pléiade» italiana) hanno costituito l’orgoglio di noi nati senza troppi libri in casa e pronti all’esborso con sacrificio. I nuovi acquisti si posavano sugli scaffali accanto agli economici acquistati da ragazzi, poggiavano la costa preziosa agli Oscar, ai Garzanti, agli Struzzi sgualciti che si erano sommati al piccolo gruzzoletto preesistente della «vecchia Bur», poi «nuova Bur». Diventavano pile in attesa di collocazione e intanto si posavano nella memoria.
Però leggevamo anche, indotti dalle curiosità liceali e dai primi studi da adulti, i libri pronti a spaccarsi ad ogni apertura: supremi, in questo, inimitabili, i titoli impacchettati dall’Universale Laterza e dai Reprints della Nuova Italia. A proposito: che fine ha fatto Laterza nel libro di Ferretti e Iannuzzi? Non si dice, magari, la serie dei mattoncini delle «Opere di Croce», pure non secondaria anche stando stretti alla letteratura. Ma, se è presente, quanto giustamente, l’Incompiuta per eccellenza, come l’Ottava di Schubert, «La letteratura italiana. Storia e testi», altrimenti nota come «La Ricciardiana», forse poteva farsi scheda dei quasi trecento tomi grigi e austeri che furono gli «Scrittori d’Italia»; ma le scelte son scelte, né interessa il gioco delle assenze praticato per ogni antologia. Sono però confronti tra esperienze diverse, come anche lo è porsi la questione se le collane di classici greci e latini vadano o no considerate parte cospicua della vicenda delineata in Storie di uomini e libri.
Certo, è un’editoria meno «militante», ma la presenza in tante biblioteche scolastiche dei classici stampati dalla Utet, da Zanichelli o dalla Fondazione Valla non può considerarsi irrilevante; tanto più che, così, Utet e Zanichelli, editori storici, restano fuori, benché tramite la Utet siano arrivati in Italia tanti autori stranieri moderni, e presso la stessa casa abbiano sede una collana di classici italiani e un monumento e documento come il Grande dizionario della lingua italiana detto «Gdli» dai dotti e «il Battaglia» al caffè dell’università.
Insieme a tanti vecchi amici da salutare, c’è anche qualche nuova conoscenza, mai in passato sfiorata nonostante mostri insieme tutta la sua età e la vivacità degli anni giovinetti: i «Romanzi di Novella», dove appare La signora di tutti di Salvator Gotta, poi film italiano di Max Ophüls, l’incantatore, e prima produzione di Rizzoli nel cinema; o i «Romanzi della palma», dove si affaccia nel 1936 Gatsby il magnifico, prima versione, con epiteto rinascimentale, di quello che sarà poi Il grande Gatsby.
Venendo verso la parte finale del volume, sempre più le collane o scompaiono o prendono impronta dai tratti di chi le ispira: «Centopagine» di Calvino, «La memoria» di Sellerio segnata da Sciascia e così via: punti di resistenza artigiana all’editoria come fabbrica di libri. Poi, oggi, la dematerializzazione. Chi l’avrebbe detto che la lettura su carta sarebbe diventato un gesto d’antiquariato e i libri un ingombro domestico, ricettacolo di polvere. Nessuno. (E infatti non è così).