Lavoro

Colf e badanti: 2 milioni di lavoratrici senza alcun ammortizzatore sociale

Colf e badanti: 2 milioni di lavoratrici senza alcun ammortizzatore socialeUna badante aiuta un'anziana a salire le scale – Foto di Andrea Sabbadini

Italia Ultima in Europa Il governo promette di inserirle nell’assegno di emergenza, ma in tanti chiedono la Cassa integrazione in deroga per ridurre le 500mila "sospensioni" già attuati

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 3 aprile 2020

Escluse da ogni ammortizzatore. In Italia lavorano 800 mila fra colf e badanti a cui si aggiunge la stima di circa 1 milione e duecentomila in nero. Due milioni di donne che al momento non hanno alcun sostentamento da parte del governo, anche se formalmente possono continuare a lavorare.
Tutti i partiti sono d’accordo a concedere un sussidio alle badanti in regola ma lo strumento futuro non è chiaro. Se le Acli rilanciano la richiesta, partita dalla Flai Cgil per i braccianti migranti, di «regolarizzare le lavoratrici irregolari, per lo più straniere, del settore domestico con un’apposita sanatoria che permetta a tutte loro di poter accedere ai servizi sanitari e producendo nuove entrate per lo stato dal pagamento di tasse e contributi», sottolinea la segreteria nazionale delle Acli Colf Giamaica Puntillo, gli emendamenti al Cura Italia per estendere anche a loro la cassa integrazione molto difficilmente passeranno.
Il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta ha affermato che questa categoria rientrerà nel cosiddetto «Reddito di emergenza» che dovrebbe essere varato nel prossimo decreto «Aprile».
Tra i primi a sollevare il problema, Cesare Damiano del Pd plaude alla promessa del governo ma rilancia la sua proposta, chiedendo un «doppio binario»: «siano le famiglie e le lavoratrici a poter scegliere tra cassa integrazione in deroga e assegno di emergenza: sotto il profilo dei costi non cambia molto perché 600 euro in un mese sono anche la media delle retribuzioni di colf e badanti: se oggi tra le regolari 500mila su 800mila hanno smesso di lavorare, la spesa mensile per lo stato sarebbe di 300 milioni, quindi un risparmio nel caso si utilizzasse la cassa integrazione, riducendo il numero delle persone “licenziate” dalle famiglie».
L’Italia è una dei pochi paesi europei a non aver garantito un’entrata a colf e badanti. Il quadro descritto da Yoopies, piattaforma internazionale di incontro fra domanda e offerta di servizi domestici, è impietoso. Mentre Francia, Germania e Spagna hanno già attuato misure specifiche per tutelare i lavoratori di questo settore, solo il Portogallo – che però ha regolarizzato tutti i lavoratori migranti – fa compagnia all’Italia nel non aver previsto misure.
In Francia è stato lanciato un provvedimento che consente ai datori di lavoro di richiedere lo chomage partiel – strumento simile alla cassa integrazione – per i loro lavoratori domestici, per evitare che alcune famiglie interrompano il pagamento del salario per le ore non lavorate: i datori di lavoro pagheranno così al dipendente l’80% del salario netto per le ore non lavorate, importo che sarà rimborsato entro circa 15 giorni. In Germania colf e badanti possono ricevere una compensazione a breve termine chiamata Kurzarbeitergeld pari al 60% dello stipendio netto, innalzato al 67% per le lavoratrici con figli. In Spagna il governo ha approvato la creazione di un sussidio di disoccupazione straordinario a cui possono accedere anche i lavoratori domestici licenziati o con orari ridotti: il beneficio è il 70% della base contributiva.

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